Il decreto con cui la Corte d’Appello si pronuncia sul reclamo in ordine ai provvedimenti deliberati dal condominio e necessari per l’amministrazione della cosa comune non costituisce “sentenza” e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione.
È quanto rimarcato dall’ordinanza 15679/2020, di cui riportiamo un estratto.
————–
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 23.7.2020,
n. 15697
————–
A.V. ha presentato ricorso articolato in due motivi avverso il decreto della Corte di appello di Bologna n. … depositato in data ….
Il Condominio … resiste con controricorso.
Sono rimasti intimati, senza svolgere attività difensive, E.B. (e altri).
Con ricorso del maggio 2017, A.V., proprietaria di unità immobiliare compresa nel Condominio …, domandò, ai sensi dell’art. 1105 c.c., la ricollocazione del muro perimetrale del cortile condominiale, posto a divisione dal cortile del condominio del vicino edificio contrassegnato con numero civico n. 75 (muretto rimosso per consentire l’esecuzione di lavori di installazione di un ascensore), nonché la riconsegna delle chiavi del cancello di accesso affidate provvisoriamente ai condòmini dello stesso civico 75, lamentando il negativo pronunciamento dell’assemblea del 2 luglio 2014 e l’inerzia dell’amministratore.
Il Tribunale di Bologna dichiarò inammissibile il ricorso per difetto dei requisiti di cui all’art. 1105 c.c., evidenziando come la delibera negativa del 2 luglio 2014 non fosse stata impugnata e come fosse estranea al procedimento instaurato ogni questione inerente alle irregolarità gestionali imputabili all’amministratore. La Corte d’appello di Bologna, con decreto del 6 settembre 2018, rigettò il reclamo avanzato da A.V., ravvisando nella delibera del 2 luglio 2014 un atto di gestione della parte comune, avente lo stesso oggetto dell’intentato procedimento ex art. 1105 c.c., rimanendo in ciò assorbiti i profili relativi alla regolarità edilizia del muretto e alla restituzione delle chiavi.
Il primo motivo di ricorso di A.V. è rubricato “impugnabilità del decreto ex art. 111 cost.”, avendo il decreto impugnato leso il diritto della reclamante al godimento dell’area cortilizia.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la motivazione apparente e contraddittoria e la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., avendo la Corte di Bologna asserito senza coerenza che il petitum della domanda della ricorrente era il ripristino del cortile, o, diversamente, la sola ricostruzione del muretto di divisione.
(omissis)
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria si pronuncia su domanda relativa alle misure necessarie all’amministrazione della cosa comune, ai sensi dell’art 1105, comma 4, c.c. (applicabile al condominio edilizio in forza dell’art. 1139 c.c.), al fine di supplire all’inerzia dei partecipanti alla comunione, è atto di giurisdizione volontaria, non avente, perciò, carattere decisorio né definitivo, in quanto, piuttosto, revocabile e reclamabile a norma degli artt. 739, 742 e 742 bis c.p.c., ed identica natura rivela il decreto che sia reso in sede di reclamo, con conseguente inammissibilità contro di esso del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost..
L’impugnabilità con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. del decreto emesso ai sensi dell’art. 1105, comma 4, c.c. residua nelle sole ipotesi, del tutto diverse da quella qui denunciata, in cui il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi (omissis).
L’impugnato decreto ha negato che sussistesse il presupposto della inazione dei comproprietari per il provvedimento ex art. 1105, comma 4, c.c., stante la deliberazione assembleare del 2 luglio 2014, la quale aveva rigettato la richiesta di riposizionare l’originario muretto divisorio. È noto che le deliberazioni di un’assemblea condominiale aventi contenuto negativo sono comunque legittimamente impugnabili dinanzi all’autorità giudiziaria al pari di tutte le altre, limitandosi l’art. 1137 c.c. a stabilire la possibilità del ricorso all’autorità giudiziaria contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, senza operare nessuna distinzione tra quelle che abbiano approvato proposte o richieste e quelle che le abbiano, invece, respinte (Cass. Sez. 2, 14/01/1999, n. 313).
(omissis)
In materia di comunione, non sono invero proponibili azioni giudiziarie relativamente alle spese ed all’amministrazione delle cose comuni (in questa compresi gli atti di conservazione) prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dell’assemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, sia che si tratti di spese voluttuarie o utili, che di spese necessarie, distinguendo la legge (ai fini della prescrizione, rispettivamente, della deliberazione a maggioranza semplice e di quella a maggioranza qualificata) unicamente tra spese di ordinaria amministrazione (art. 1105 c.c.) e spese concernenti innovazioni o atti di straordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.). Peraltro, mentre la deliberazione di maggioranza è impugnabile davanti al giudice, in via contenziosa, ove lesiva dei diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, resta salva la possibilità, una volta convocata l’assemblea, e soltanto in caso di omessa iniziativa della medesima e di mancata formazione di una volontà di maggioranza o di omessa esecuzione della deliberazione, di rivolgersi al giudice, non già in sede contenziosa, ma, come nella specie avvenuto, di volontaria giurisdizione, ai sensi del quarto comma dell’art. 1105 citato (Cass. Sez. U., 19/07/1982, n. 4213; Cass. Sez. 3, 08/09/1998, n. 8876).
La ricorrente rivolge al decreto impugnato censure sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere in discussione la sussistenza, o meno, della necessità dei provvedimenti richiesti al Tribunale ed alla Corte d’Appello per l’amministrazione delle cose comuni, nonché a denunciare vizi di motivazione del decreto impugnato. Come invece già ribadito, il decreto emesso in sede di reclamo in ordine ai provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune a norma dell’art. 1105, ultimo comma, c.c. viene reso all’esito di un giudizio camerale plurilaterale tipico, e consiste in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status”.
Non avendo carattere decisorio e definitivo, tale decreto non è, come pure già detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (omissis).
Il decreto con cui la Corte d’Appello pronuncia sul reclamo in ordine ai provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, in definitiva, non costituisce comunque “sentenza”, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi. Trattasi, dunque, di decisione non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, anche quanto alla contraddittorietà o apparenza della motivazione, avendo la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato.
(omissis)
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 2.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.