Il distacco della singola unità immobiliare dall’impianto centralizzato di riscaldamento condominiale, previsto dall’art. 1118, comma 3, cod. civ., non può che essere totale, riguardare cioè tutti gli elementi radianti presenti nel singolo immobile, così determinando una cessazione completa del servizio, mentre una eventuale riduzione degli stessi può essere fatta valere dal condomino solo con la richiesta di modifica delle relative tabelle millesimali, la quale però, opera solo per il futuro e non per il passato. È uno degli importanti principi di diritto rimarcati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 8940 del 29 marzo 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 29.3.2019,
n. 8940
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Con atto regolarmente notificato L.D. impugnò dinanzi al Tribunale di Milano le delibere adottate il 24.3.2009 dall’assemblea del condominio di viale … che avevano approvato il bilancio consuntivo del riscaldamento per l’anno 2008 e quello preventivo per il 2009, per violazione dell’art. 28 del regolamento di condominio, secondo cui l’anno oggetto di rendiconto non coincideva con l’anno solare ma andava dal 10 luglio al 30 giugno successivo, e per eccessivo addebito della quota delle spese, non avendo la delibera valutato che l’unità immobiliare dell’istante era stata ricavata dall’accorpamento oltre vent’anni prima di tre distinte unità, di cui due adibite a negozi su strada, le quali erano prive di radiatori, sicché le relative spese andavano ridotte in misura proporzionale all’effettivo consumo.
Il condominio di viale … si oppose alla domanda, chiedendone il rigetto.
All’esito dell’istruttoria con sentenza del 25.11.2011 il Tribunale rigettò l’impugnativa, rilevando che la clausola regolamentare invocata dalla parte attrice era stata modificata a maggioranza dai condòmini e che il ricorrente non aveva dimostrato che la suddetta modifica aveva pregiudicato un suo diritto, e, con riguardo al secondo motivo, che il ricorrente non aveva proceduto ad un distacco della propria unità immobiliare dall’impianto centralizzato di riscaldamento, ma aveva solo eliminato alcuni corpi radianti, situazione che non comportava automaticamente il diritto della parte alla riduzione delle spese.
Con sentenza n. 3949 del 31. 10. 2013 la Corte di appello di Milano rigettò il gravame proposto da L.D. e confermò integralmente la sentenza impugnata, precisando che fin dalla prima riunione l’assemblea del condominio aveva adottato il criterio dell’anno solare ai fini della redazione ed approvazione dei bilanci senza contestazione dei condòmini e che la rimozione volontaria da parte di un condomino di alcuni degli impianti radianti presenti nel proprio immobile non dà diritto di per sé ad una riduzione delle relative spese a suo carico, trattandosi di una scelta discrezionale e sempre reversibile.
Con ricorso notificato il 10. 1. 2014 L.D. chiede la cassazione di questa sentenza, sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
Il condominio di viale … resiste con controricorso.
La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.
Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e degli artt. 1350, 1136, comma 7, e 1138 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la disposizione di cui all’art. 28 del regolamento modificata per comportamento concludente dell’assemblea, senza considerare che non tutti i condòmini avevano tacitamente accettato tale modifica, atteso che il L.D., come esposto fin dall’atto introduttivo, aveva sistematicamente impugnato tutti i rendiconti dal 2002, ed in violazione del principio secondo cui le clausole del regolamento condominiale non possono essere modificate per facta concludentia, richiedendo sempre la forma scritta ad substantiam.
Il motivo è infondato.
La censura relativa alla inosservanza dell’obbligo della forma scritta richiesta dalla legge per le modifiche delle disposizioni del regolamento di condominio non merita invero accoglimento, tenuto conto che la Corte territoriale ha posto a sostegno della conclusione accolta il rilievo in fatto che, pur disponendo il regolamento che l’anno di esercizio andasse dal 1° luglio al 30 giugno dell’anno successivo, fin dalla sua prima riunione l’assemblea aveva deliberato di approvare il rendiconto per anno solare, proseguendo poi con tale criterio anche per i rendiconti successivi. Assume il ricorrente che tale comportamento non può reputarsi idoneo ad apportare modifiche al regolamento mancando la necessaria forma scritta, ma il rilievo non coglie nel segno, avendo la Corte territoriale ravvisato la causa di tale modifica non già in un comportamento materiale, bensì nella volontà della maggioranza espressa in assemblea in occasione delle delibere di approvazione dei bilanci di modificare il criterio regolamentare in favore di quello, ritenuto più idoneo, dell’anno solare, compiendo sul punto una valutazione di natura interpretativa, in ragione dell’evidente incompatibilità tra l’uno e l’altro criterio, che non è stata colpita da censure e che appare formalmente rispettosa del criterio della forma scritta, la cui osservanza è ravvisabile proprio nelle delibere assembleari.
Sulla base di tale rilievo la circostanza allegata secondo cui l’odierno ricorrente avrebbe contestato ed impugnato tali delibere, appare, oltre che generica, per la mancata precisazione che tali impugnative riguardassero proprio il periodo temporale oggetto dei bilanci di esercizio, priva di rilevanza, tenuto conto che le clausole del regolamento che disciplinano l’organizzazione della gestione dei beni comuni (tra cui vanno ricomprese quelle relative alla redazione del bilancio, avendo esso ad oggetto le spese relative ai beni ed ai servizi condominiali ), anche se inserite in un regolamento contrattuale, non hanno natura negoziale, e possono quindi essere modificate a maggioranza dall’assemblea, non avendo la parte comunque contestato che tali deliberazioni erano state adottate con la maggioranza prescritta (Cass. n. 17694 del 2007; Cass. n. 5626 del 2002).
Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione dell’art. 116, comma 2, cod. proc. civ. e dell’art. 112, comma 2, cod. civ., censura la sentenza per non avere preso in considerazione lo stato del suo immobile, composto dall’accorpamento di tre unità, e che l’eliminazione degli elementi di calore nelle due unità adibite a negozi si era risolta in un vero e proprio distacco dall’impianto centralizzato, per il cui accertamento avrebbe dovuto essere disposta consulenza tecnica d’ufficio, nonché per avere affermato che la rimozione di alcuni elementi radianti non dava diritto ad una riduzione delle spese, in spregio del principio generale in tema di condominio secondo cui le spese delle cose comuni sono ripartite in misura proporzionale all’uso che ciascuno può farne.
Anche questo motivo è infondato, atteso che la decisione della Corte territoriale muove dalla premessa, che integra una valutazione di fatto, non censurabile in questa sede, che l’immobile di proprietà del ricorrente era unico, ed essendo giuridicamente esatta l’affermazione secondo cui il distacco della singola unità immobiliare dall’impianto centralizzato di riscaldamento, previsto dall’art. 1118, comma 3, cod. civ., non può che essere totale, riguardare cioè tutti gli elementi radianti presenti nel singolo immobile, così determinando una cessazione completa del servizio, mentre una eventuale riduzione degli stessi può essere fatta valere dal condomino con la richiesta di modifica delle relative tabelle millesimali, la quale però, com’è noto, opera solo per il futuro e non per il passato (Cass. n. 4844 del 2017). Ne discende anche il rigetto della denunzia di violazione del criterio generale di ripartizione delle spese fissato dall’art. 1123 cod. civ., operando esso sulla base delle tabelle secondo quanto disposto dall’art. 68 disp. att. stesso codice, e non avendo la parte opposto che le spese ad essa addebitate non erano ad esse conformi.
Il ricorso va pertanto respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, come liquidate in dispositivo. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 1.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.