Un caso di cronaca, avente ad oggetto droga occultata in condominio, e rinvenuta mediante videoregistrazioni effettuate dai carabinieri, dà alla Cassazione l’occasione per richiamare il principio di diritto secondo cui le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti perché sono in realtà destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti. Di seguito un estratto della sentenza 38230/2018.
——————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. IV pen., sent. n. 38230/2018
——————-
1. In data 01 marzo 2018 il Tribunale del Riesame di Napoli emetteva il provvedimento con il quale confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di G.M., R.E. e A.B. per i reati di detenzione ed illecita cessione di sostanza stupefacente del tipo eroina.
1.1. Nel caso in esame i Carabinieri del Nucleo Operativo della compagnia Napoli Stella, dopo avere monitorato l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti nella zona di via (omissis), hanno effettuato un servizio di monitoraggio con l’installazione di un sistema di videosorveglianza con microcamera nel pianerottolo dell’ultima rampa di scala che dà accesso al terrazzo di copertura dello stabile scala B isolato C. A seguito di questa attività di controllo la P.G. ha verificato il rinvenimento del narcotico in un cassone in metallo occultato in un vano ricavato nel muro adiacente alla porta di ferro che dà accesso al terrazzo condominiale celato da una lastra di marmo.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto utilizzabili gli esiti di tali registrazioni ritenendo che il pianerottolo situato all’ultima rampa di scale che dà accesso al lastrico dell’edificio, che è una parte condominiale in cui non insistono abitazioni private, non sia da considerare luogo di privata dimora per la mancanza di stabilità del rapporto tra il luogo e le persone che lo frequentano.
1.1. Con separati ricorsi G.M., R.E. e A.B. elevano i seguenti motivi.
1.2. Con il primo motivo deducono la nullità della ordinanza per inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale in relazione agli artt. 189, 191 e 266, comma 2, cod. proc. pen..
Rilevano che l’unico indizio posto a sostegno della ordinanza di custodia cautelare è rappresentato dai fotogrammi, estratti dalle videoriprese che sono state effettuate su iniziativa della polizia giudiziaria, nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., e pertanto sono inutilizzabili ex art. 191 cod. proc. pen. poiché non rientrano nella disciplina delle prove documentali atipiche, avulse dalla disciplina delle intercettazioni.
Ritengono che il Tribunale sia incorso in un evidente travisamento della prova in quanto dalla informativa redatta dalla polizia giudiziaria, riportata sia nella richiesta di misura cautelare che nella ordinanza di custodia cautelare, i verbalizzanti hanno relazionato che sul pianerottolo vi era «l’apposizione, nelle porte di ferro che danno sul tetto, di chiavistelli e fermi installati ex post da abili fabbri, in modo da escludere della fruizione di quella parte comune del condominio i soggetti estranei».
Pertanto, tenuto conto anche della descrizione dei luoghi fatta dai verbalizzanti, il pianerottolo, dove sono avvenute le videoriprese, è inaccessibile senza il consenso del titolare e non può essere equiparato ad un luogo aperto al pubblico.
1.3. Concludono chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.
(omissis)
1. I ricorsi sono infondati.
2. La questione di diritto sottesa agli odierni ricorsi impone di stabilire se il pianerottolo posto all’ultima rampa di scale che dà accesso al lastrico dell’edificio in cui non insistono abitazioni private sia da considerare luogo di privata dimora.
2.1. Secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 34151 del 30/05/2017) la nozione di privata dimora individua una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove svolge la sua vita privata in modo da sottrarla alle ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza. Peraltro proprio l’oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio.
Il concetto di domicilio individua un rapporto tra la persona e il luogo generalmente chiuso in cui si svolge la vita privata in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli la riservatezza.
Sotto altro profilo la Corte Costituzionale (sent. n. 135 del 13/02/2002 e n. 149 del 16/04/2008) ha precisato che affinché sussista la tutela di cui all’art. 14 Cost. non basta che un certo comportamento attinente alla sfera personale venga tenuto in luoghi di privata dimora ma occorre che esso avvenga in condizioni tale da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi.
Qualora invece l’azione possa essere liberamente osservata da estranei senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può accampare una pretesa alla riservatezza e le videoregistrazioni a fini investigativi soggiacciono al medesimo regime valevole per le riprese visive in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
2.2. Orbene, alla stregua dei predetti principi, la Suprema Corte ha affermato che le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti perché sono in realtà destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti (omissis).
2.3. Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Napoli, sezione per il riesame, risultano coerenti al dato normativo. Deve, inoltre, escludersi che sussista il dedotto travisamento della prova in quanto il cassone ove veniva nascosta la sostanza stupefacente era occultato in un vano ricavato nel muro adiacente alla porta di ferro che dà accesso al terrazzo condominiale.
3. I ricorsi vanno pertanto rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.