L’assemblea ha facoltà di tornare sui propri passi, revocando, modificando o integrando una decisione precedente, senza che sia necessaria la stessa maggioranza che aveva portato all’adozione della prima delibera. È quanto puntualizzato dal Tribunale di Bergamo con la sentenza 409 del 20 febbraio 2020, di cui riportiamo un estratto.
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TRIBUNALE BERGAMO
Sent. 20.2.2020 n. 409
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Con atto di citazione in riassunzione ritualmente notificato (…) e (…) convenivano in giudizio avanti l’intestato Tribunale di Bergamo il Condominio (…).
Premesso che, con deliberazione in data 29 ottobre 2015, l’assemblea aveva autorizzato i condòmini a collocare generatori di calore domestici alimentati a biomassa legnosa, e premesso che, con deliberazione in data 29 novembre 2017, l’assemblea aveva disposto l’annullamento della precedente deliberazione di autorizzazione, gli attori impugnavano la deliberazione dell’assemblea in data 29 novembre 2017 per i seguenti motivi:
Chiedevano, pertanto, la declaratoria di nullità ovvero l’annullamento della deliberazione impugnata, il ripristino degli effetti della precedente deliberazione di autorizzazione e il risarcimento del danno.
Costituendosi in giudizio il Condominio (…) contestava in toto gli assunti avversari.
Ricostruita nel dettaglio la vicenda dei camini del condominio, (e, in particolare, evidenziato:
a) il divieto normativo concernente l’utilizzo dei camini alimentati a biomassa legnosa in locali, come i seminterrati, dotati di riscaldamento a gas per la climatizzazione estiva ed invernale nonché; b) il divieto normativo concernente la realizzazione di una canna fumaria che utilizzi impropriamente i condotti di areazione del locale cantina), osservava il convenuto:
Si opponeva, pertanto all’accoglimento delle domande attrici. La causa non veniva istruita.
Precisate le conclusioni come in epigrafe riportate, all’udienza del 19 novembre 2019 passava in decisione.
Con il primo motivo di impugnazione gli attori rilevano che l’assemblea non può “annullare”, bensì e al più “revocare”, una propria precedente deliberazione, competendo il potere annullamento alla sola autorità giudiziaria.
Il motivo è infondato.
Invero, come giustamente sottolineato dal convenuto, si tratta di una questione che ha una valenza esclusivamente terminologica.
Infatti, sebbene il verbale dell’assemblea si esprima in termini di annullamento, e non già di revoca, è evidente che l’unica volontà della compagine condominiale era quella di “paralizzare” la deliberazione precedentemente adottata.
Fuorviante è, altresì, il richiamo all’autorità giudiziaria quale unico organo competente all’annullamento di una deliberazione dell’assemblea del condominio.
L’intervento dell’autorità giudiziaria è obbligatorio nei casi previsti dall’art. 1137 c.c. e dall’art. 1105 c.c., ma è assolutamente pacifico che l’assemblea conservi sempre in capo a sé la facoltà di revocare, con una deliberazione successiva, una propria deliberazione precedente.
Con il secondo motivo di impugnazione gli attori rilevano che il condominio può, con una successiva deliberazione, revocare una precedente deliberazione, ma ciò a condizione che:
a) la deliberazione di revoca sia approvata con la medesima maggioranza di quella precedente;
b) non siano stati violati i diritti del singolo condomino medio tempore maturati.
Il motivo è infondato.
Invero, con riferimento alla condizione sub a), nessuna norma impone che la deliberazione di revoca venga approvata con la stessa maggioranza di quella revocata, tanto è vero che è possibile revocare a maggioranza una precedente deliberazione approvata all’unanimità (Cass. n. 1281/1976: “In materia di condominio le deliberazioni assembleari non sono di regola mai irrevocabili e possono, perciò, essere modificate o revocate da una valida deliberazione successiva. Le nuove deliberazioni, infatti, purché approvate nei modi e con le formalità di legge o di regolamento, sono perfettamente valide e sono obbligatorie per tutti i condomini, anche se, eventualmente, quelle anteriori, revocate o modificate, siano state prese all’unanimità e le seconde con la maggioranza minima prevista in ordine all’oggetto di ciascuna deliberazione ed al tipo di assemblea”).
Basta che la nuova deliberazione venga assunta a mezzo di un’assemblea regolarmente convocata, che non sia contraria alla legge o al regolamento condominiale, che abbia il medesimo oggetto di quella che intende sostituire e che esprima la volontà, anche implicita, di sostituire la precedente deliberazione.
La maggioranza qualificata è richiesta dalla legge soltanto in talune peculiari ipotesi (ad esempio, per le innovazioni o per la tutela della destinazione d’uso delle parti comuni), al di fuori delle quali è sufficiente la maggioranza semplice di cui all’art. 1136 co. 2 e 3 c.c..
Mentre, con riferimento alla condizione sub b), la lesione paventata dagli attori non ha avuto luogo né per l’effetto della deliberazione oggetto di impugnativa, né per l’effetto della deliberazione oggetto di revoca.
In particolare, quanto alla deliberazione oggetto di impugnativa (cioè quella del 2017), essa non osta all’installazione da parte dei condòmini di un camino all’interno delle proprie abitazioni, ma si limita a prescrivere le modalità attraverso cui l’installazione deve avere luogo.
A dir il vero, tale deliberazione non comporta nemmeno l’obbligo di rimuovere i camini eventualmente già installati, ma soltanto quello di adeguarsi alle relative prescrizioni normative.
Con il terzo ed ultimo motivo di impugnazione gli attori rilevano che la deliberazione per cui è causa è nulla o comunque annullabile per assoluta indeterminatezza dell’oggetto nonché per esorbitanza rispetto ai poteri dell’assemblea.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile, in quanto la doglianza ha ad oggetto una mera informativa dell’amministratore, e non già un deliberato dell’assemblea.
Infatti, l’amministratore si è limitato ad informare i condòmini del fatto che l’eventuale installazione della canna fumaria era subordinata all’autorizzazione del Comune.
Sicché tale comunicazione, che è un atto proprio dell’amministratore, non è suscettibile di essere impugnata innanzi all’autorità giudiziaria, come se si trattasse di una deliberazione dell’assemblea.
È infondato, in quanto il decoro architettonico, inteso come l’estetica complessiva data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali, che conferisce un’armoniosa fisionomia ed un’unica impronta all’aspetto dell’edificio (Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1286: “In tema di condominio degli edifici, il decoro architettonico cui è apprestata tutela ex art. 1120, secondo comma, cod. civ. riguarda l’estetica fornita dalle linee e dalle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio od anche di sue singole parti ma non l’impatto dell’opera con l’ambiente circostante”) costituisce un limite che deve essere necessariamente vagliato ogniqualvolta l’installazione di un nuovo manufatto interessi, come nel caso di specie, la facciata dell’edificio.
Ne discende che l’eventuale innalzamento della canna fumaria, interessando sia la facciata che il tetto dell’edificio, rientra a pieno titolo nel novero di quelle modifiche suscettibili di lederne il decoro architettonico, e quindi tra quelle oggetto di autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale.
Il richiamo effettuato dalla difesa di parte attrice all’art. 1120 c.c. in tema di innovazioni lecite è inconferente, posto che l’installazione della canna fumaria alle condizioni dettate dal condominio non costituisce né una manifestazione di un abuso di potere da parte del condominio, né una lesione dei diritti dei singoli condòmini.
Di qui il rigetto dell’impugnazione della deliberazione dell’assemblea.
La domanda di risarcimento è altrettanto infondata.
Invero gli attori, i quali reclamano un danno a titolo di perdita subita e di mancato guadagno, non hanno provato nulla in ordine alle asserite spese sostenute. Inoltre, è emerso che nessun camino è stato installato nella loro abitazione (doc. 14 convenuto).
Di qui l’insussistenza di qualsivoglia possibile danno.
Le spese di lite seguono la soccombenza e possono liquidarsi in complessivi euro 3.972, oltre a spese generali nella misura del 15 %, ad iva e cpa e alle successive occorrende.
Il Tribunale, ogni diversa istanza eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando: