Edifici abusivi, in quali casi è possibile evitare la demolizione?
Quali sono i casi in cui un edificio soggetto ad ordine di demolizione in quanto riconosciuto abusivo con sentenza penale passata in giudicato, può evitare la demolizione stessa? In quali circostanze il provvedimento può essere sospeso o addirittura revocato? È il tema sul quale si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza 9210/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 9210/2019
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Ritenuto in fatto
- Con ordinanza depositata in data 23.7.2018, il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di Giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza proposta nell’interesse di C.L. di sospensione dell’ingiunzione a demolire.
- Avverso tale provvedimento, C.L. ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento, lamentando vizio di violazione di legge e mancata assunzione di prove.
Considerato in diritto
- Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivi generici e manifestamente infondati.
- Va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’ordine di demolizione delle opere abusive emesso con la sentenza penale passata in giudicato può essere revocato esclusivamente se risulta assolutamente incompatibile con atti amministrativi o giurisdizionali resi dalla autorità competente, e che abbiano conferito all’immobile altra destinazione o abbiano provveduto alla sua sanatoria (Sez. 3, 16 aprile 2002), mentre può essere sospeso solo quando sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che, nel giro di brevissimo tempo, sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di demolizione, non essendo invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile ed in particolare la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente la valutazione prognostica (omissis); inoltre, costituisce principio consolidato quello secondo cui in tema di reati edilizi ai fini della revoca o sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive in presenza di una istanza di condono o di sanatoria, il giudice dell’esecuzione investito della questione è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e tempi di definizione della procedura ed in particolare ad accertare il possibile risultato dell’istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento, e nel caso di insussistenza di tali cause a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (omissis).
Facendo buon governo di tali principi il Giudice dell’esecuzione, procedendo previamente alla audizione del responsabile dell’ufficio dei lavori pubblici e dell’urbanistica del Comune di Massa Lubrense, ha correttamente disatteso le doglianze difensive qui riproposte, rimarcando che non era stato emesso alcun provvedimento di sanatoria né erano pendenti procedimenti di sanatoria.
Il ricorrente, peraltro, neppure si confronta con le argomentazioni del Giudice dell’esecuzione riproponendo le stesse censure già ritenute infondate e dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
3.Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.