Qualora si accerti una divergenza tra le tabelle millesimali in uso e le stime operate dal CTU, gli errori non possono essere considerati come sopportabilmente “contenuti nei limiti della decenza estimativa”, laddove, sussistendo una qualsiasi obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente determinato, è obbligo del giudice di eliminare l’errore riscontrato. Questa la decisione assunta dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 1848 del 25 gennaio 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 25.1.2018,
n. 1848
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V.R. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in unico motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 69 disp. att. c.c.) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1980/2015 del 20 novembre 2015.
Resistono con distinti controricorsi: R.L. (e altri).
La sentenza impugnata ha rigettato l’appello di V.R. avverso la sentenza resa il 27 luglio 2006 dal Tribunale di Firenze, ed ha così confermato la reiezione della domanda proposta da V.R. con citazione del 20 febbraio 2001, volta alla revisione delle tabelle millesimali del Condominio di …, in quanto non conformi al reale valore degli appartamenti. Tale revisione era stata già avviata dall’assemblea condominiale senza però poi essere mai stata approvata da essa. Il Tribunale di Firenze, all’esito della disposta CTU, e dopo aver dato atto che non fosse stato reperito il fascicolo completo delle tabelle millesimali vigenti nel condominio, concludeva che le quote in uso e quelle indicate dall’ausiliare non erano “connotate dall’esistenza di un vero e proprio errore”, in quanto la differenza accertata derivava “da un margine di fisiologica opinabilità”. La Corte di Firenze richiama nella sua sentenza “i casi più eclatanti”, segnalati dal V.R., tra tabelle millesimali in uso e stime del CTU (circa il 13,8% in più per la proprietà R.: 166 millesimi contro 143; circa il 7,3% in meno per la proprietà L.: 137 millesimi contro 147; circa il 10,3% in meno per la proprietà G.: 97 millesimi contro 107). Il consulente di parte V.R. evidenziava, invece, difformità ben più rilevanti, fino al 127% in più per la proprietà del ricorrente, suscitando peraltro dubbi di attendibilità nella Corte di Firenze, la quale ha così concluso che le risultanze processuali non reclamassero “una revisione necessaria dei valori tabellari, di origine convenzionale e comunque contenuti nei limiti della decenza estimativa, al di là delle esasperate valutazioni provenienti dal tecnico di parte appellante”.
Il complesso motivo di ricorso di V.R. deduce che la Corte d’appello abbia violato l’art. 69 disp. att. c.c., in quanto le risultanze di causa, ed in particolare gli accertamenti peritali, avevano confermato l’obiettiva divergenza tra valore millesimale effettivo e valore attribuito dalle tabelle vigenti.
(omissis)
La Corte d’Appello di Firenze ha deciso la questione di diritto ad essa sottoposta senza uniformarsi all’interpretazione costante di questa Corte. Il diritto spettante anche al singolo condomino di chiedere la revisione delle tabelle millesimali, in base all’art. 69 disp. att. c.c. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla l. n. 220 del 2012) è subordinato all’esistenza di un errore o di un’alterazione del rapporto originario tra i valori delle singole unità immobiliari. L’errore, in particolare, determinante la revisione delle tabelle millesimali, è costituito dalla obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto. La parte che chiede la revisione delle tabelle millesimali non ha, peraltro, l’onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo limitarsi a fornire la prova anche implicita di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l’esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio. Il giudice, a sua volta, sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, sia per la prima caratura delle stesse, deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi – quali la superficie, l’altezza di piano, la luminosità, l’esposizione – incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. Sez. 2, 25/09/2013, n. 21950; Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5942). Non rileva decisivamente, a tal fine, il mero dato che le tabelle non abbiano “origine deliberativa, ma convenzionale”, sottolineato dalla Corte d’Appello di Firenze. Questa Corte ha già spiegato, e il principio va riaffermato, come, soltanto qualora i condòmini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., la quale, come visto, attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell’edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle. Ove, invece, tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condòmini), i condòmini stessi intendano (come, del resto, avviene nella normalità dei casi) non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima), la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore che, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 e ss. c.c., ma consiste, per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito (Cass. Sez. 2, 26/03/2010, n. 7300). La Corte d’Appello di Firenze non si è attenuta ai principi richiamati, in quanto, pur avendo accertato delle divergenze tra le tabelle millesimali in uso e le stime operate dal CTU (quanto meno per la proprietà R., la proprietà L. e la proprietà G.), ha ritenuto gli stessi sopportabilmente “contenuti nei limiti della decenza estimativa”, laddove, sussistendo una qualsiasi obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente determinato, è obbligo del giudice di eliminare l’errore riscontrato.
Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, che deciderà la causa uniformandosi ai principi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del presente giudizio di cassazione.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.