Sale su un escavatore e rimuove una rampa di cemento che permetteva l’accesso ai garage di proprietà di un altro condominio in quanto la stessa rendeva difficile l’entrata e l’uscita con gli automezzi alla sua proprietà. Per questa ragione viene condannato per esercizio arbitrario delle proprie ragioni: un reato piuttosto diffuso in condominio, dove l’esasperazione dei rapporti di convivenza porta spesso a farsi giustizia da sé.
Di seguito un estratto della sentenza recentemente emessa dal Tribunale di Campobasso.
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TRIBUNALE CAMPOBASSO
Sent. 12/04/2019
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Con decreto del 24.04.2017, il pubblico ministero disponeva la citazione a giudizio di M.G., per il reato di cui in rubrica. All’udienza del 15 settembre 2017, veniva dichiarata l’assenza dell’imputato, attesa la regolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio e la nomina del difensore di fiducia, si costituiva parte civile D.P.N. e, in mancanza di questioni preliminari, quindi, veniva aperto il dibattimento e richiesti ed ammessi i mezzi istruttori.
All’esito dell’istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come riportato in epigrafe ed il processo veniva definito con sentenza del cui dispositivo si dava lettura.
Dalle testimonianze succedutesi in dibattimento e dai documenti acquisiti agli atti del processo, la responsabilità del prevenuto in ordine al reato di cui in rubrica emerge oltre ogni ragionevole dubbio: come emerge inequivocabilmente dall’istruttoria dibattimentale, infatti, il 4 marzo 2015, l’odierno imputato, personalmente, a bordo di un escavatore, rimuoveva una piccola rampa di cemento che permetteva l’accesso ai garage di proprietà del sig. D.P.N. atteso che la stessa, fatta realizzare negli anni ’90 dal padre dell’odierna parte civile, rendeva difficile l’entrata e l’uscita con gli automezzi alla proprietà del M.G. e, in caso di pioggia, convogliava l’acqua piovana in questa proprietà.
La condotta posta in essere dal M.G., confermata da tutti i testi del P.M. e anche da quelli di difesa, integra appieno la fattispecie di cui all’art. 392 c.p.: il reato di ragion fattasi, infatti, ha come presupposto un diritto in contestazione e la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria per il riconoscimento dello stesso. Nel momento in cui il diritto viene esercitato in “autotutela”, con violenza sulle cose o sulle persone, come nel caso di specie, il reato è perfettamente integrato. Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, “in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi ‘quid pluris’, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato” (ex multis: Cass. pen. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016), tanto che, sempre secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è applicabile la scriminante dell’esercizio del diritto in quanto la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto” (Così Cass. pen. sez. 6, n. 25262 del 21/02/2017.). Del resto, il bene giuridico tutelato dall’art. 392 c.p. si identifica con l’interesse a garantire l’esclusiva riconducibilità all’autorità giudiziaria della risoluzione di controversie tra soggetti depositari di pretese contrapposte ed in conflitto ed il nucleo fondante del comportamento sanzionato dal legislatore è tipizzato in funzione del risultato di autotutela diretta perseguito dal soggetto agente con la sua condotta (omissis).
Nessun dubbio, inoltre può essere avanzato in merito al fatto che la condotta posta in essere dal M.G. sia stata violenta, atteso che per violenza deve intendersi qualsiasi danneggiamento trasformazione o mutamento di destinazione della cosa: infatti, tanto che per Cass. pen., Sez. 6, n. 46242 del 22/05/2012, “Integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose un intervento modificativo dello stato dei luoghi realizzato da una delle parti di un giudizio civile pendente per regolamento di confini tra due fondi finitimi”.
Del pari sussistente appare l’elemento psicologico del reato, atteso che “Ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 cod. pen.), che richiede, oltre il dolo generico, quello specifico – rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità – la buona fede del soggetto attivo, lungi dall’essere inconciliabile con il dolo, costituisce un presupposto necessario del reato. (Fattispecie in cui la S.C. ha ravvisato il reato nel fatto di aver impedito l’esercizio di una servitù di passaggio su un appezzamento di terreno di proprietà degli imputati, formando dei solchi e piantando ortaggi sulla parte di terreno destinata a strada)” (Cass. pen. Sez. 6, n. 41368 del 28/10/2010).
Ritenuta, quindi, la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 392 c.p.; valutati tutti i criteri direttivi dell’art. 133 c.p. e, in modo particolare, le modalità della condotta; ritenuto di poter concedere all’imputato le attenuanti generiche, attesa la mancanza di precedenti penali a suo carico e i motivi che hanno determinato la condotta, la pena equa da comminare a M.G., si reputa essere quella del pagamento di Euro 300 di multa (pena base Euro 450 di multa, diminuita di 1/3 ex art. 62 bis c.p.).
Consegue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno causato a D.P.N., costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, con concessione di una somma a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, pari ad Euro 1.000, nonché alla refusione delle spese da questi sostenute per la sua costituzione e rappresentanza in giudizio che si liquidano in complessivi Euro 3.420, oltre al rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Il Tribunale, visti gli artt. 533 e seguenti c.p.p., dichiara M.G. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di Euro trecento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.