Confermata dalla Cassazione la condanna per diffamazione a carico di due condòmini che avevano pubblicamente tacciato l’amministratore condominiale di “gestire male i soldi del condominio, distraendoli per viaggi all’estero, e di non pagare le fatture”.
Nella fattispecie non può essere invocata la scriminante del diritto di critica, in quanto essa prevede 3 requisiti – verità, interesse alla notizia e continenza – il primo dei quali non poteva essere provato.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 11913/2020
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1. Con sentenza del 5.6.2018 il Tribunale di Fermo ha confermato la sentenza del locale G.d.P. del 17/10/2017, con la quale D.T. e M.G. erano stati condannati, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 500 di multa ciascuno, oltreché in solido al pagamento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidare in separata sede, per il reato di cui all’art 595 c.p., perché comunicando con vari condòmini amministrati dalla “I. S.a.s.” di F.G. e M.M., offendevano la reputazione di questi ultimi, riferendo che gli stessi “gestivano male i soldi del condominio, distraendoli per viaggi all’estero e non pagavano le fatture”, criticandone anche le capacità professionali.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore di fiducia, deducendo:
(omissis)
I ricorsi sono inammissibili.
(omissis)
3. Inammissibile si presenta altresì il quarto motivo di ricorso circa la configurabilità del reato di diffamazione, con la precisazione che, anche questo motivo, al di là dell’enunciazione di un vizio di motivazione che caratterizzerebbe la sentenza impugnata, si intreccia con la questione di diritto della sussistenza della scriminante del diritto di critica e, quindi, con la denuncia, in sostanza, anche del vizio di violazione di legge che non rende in sé il motivo precluso per le ragioni indicate sub 1.
Tale motivo è tuttavia manifestamente infondato, atteso che corretta deve ritenersi la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 595 c.p., non essendo configurabile nella fattispecie la scriminante del diritto di critica.
3.1. Invero, le frasi pronunciate alla presenza di più persone, con le quali l’amministratore di un condominio viene tacciato di illecita appropriazione del denaro a lui versato dai condòmini al fine di far fronte a debiti personali od impiegarli in viaggi, in assenza di qualsivoglia elemento attestante la veridicità di quanto affermato, integrano senz’altro il delitto di diffamazione.
Ed invero, va richiamato in proposito quanto evidenziato da questa Corte, secondo cui la scansione del procedimento logico-giuridico da seguire in tema di accertamento della punibilità dell’imputato a titolo di diffamazione implica in primo luogo la valutazione diretta a stabilire se il contenuto della comunicazione rivolta a più persone rechi in sé la portata lesiva della reputazione altrui, che costituisce il proprium del reato contestato e, una volta stabilito il concorso degli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, l’attenzione del giudicante può spostarsi sull’apprezzamento della linea difensiva volta a giustificare il fatto sotto il profilo della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., e quindi sulla verifica di sussistenza dei noti requisiti di verità, interesse alla notizia e continenza (Sez. 5, n. 41661 del 17/09/2012).
Della scansione così descritta ha tenuto conto il giudice di appello che ha, innanzitutto, correttamente evidenziato la natura lesiva dell’altrui onore delle espressioni oggetto di contestazione. Se, infatti, il bene giuridico tutelato dalla norma ex art. 595 c.p. è l’onore, nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (alias reputazione) di ciascun cittadino, e l’evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente ad incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (Sez. 5, n. 5654 del 19/10/2012), le espressioni oggetto di contestazione sono obiettivamente pregiudizievoli della reputazione delle persone offese, concretizzando un pregiudizio la divulgazione di qualità negative, idonee ad intaccarne l’opinione tra il pubblico dei consociati (Sez. 5, n. 43184 del 21/09/2012).
3.2. Tanto premesso non può ritenersi operante nella fattispecie in esame la scriminante invocata dai ricorrenti dell’esercizio del diritto di critica. All’uopo va premesso che l’accertamento della scriminante in questione richiede, in linea generale, la verifica della sussistenza dei tre requisiti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: la verità, l’interesse alla notizia e la continenza (Sez. 5, n. 45014 del 19/10/2012). Nella fattispecie in esame difetta innanzitutto il primo essenziale requisito, ossia la verità della notizia, in base a quanto più volte evidenziato da questa Corte, secondo cui in tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5. n. 8721 del 17/11/2017).
Corretta, pertanto, si presenta la valutazione del giudice d’appello che ha escluso la ricorrenza del legittimo esercizio del diritto di critica da parte degli imputati, ritenendo che non può ritenersi tale la propaganda di notizie per le quali i ricorrenti, senza averne prova alcuna, avrebbero distratto illecitamente il denaro condominiale per far fronte a propri debiti od impiegandolo in spese personali.
4. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare per ciascuno in euro 3000, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in euro 2200, oltre accessori di legge.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno a favore della cassa delle ammende, nonché in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle pp.cc., liquidate in euro 2200 oltre accessori di legge.