Una donna acquista da un’impresa edile un alloggio in condominio, con diritto di uso esclusivo anche di un garage da individuarsi a cura del venditore. In seguito il costruttore subisce il sequestro penale dei suoi beni. La donna è riconosciuta “acquirente in buona fede” dell’appartamento, che resta suo, ma perde il box. La ragione? La pertinenza non era ancora stata “individuata”.
Di seguito un estratto della sentenza 3717/2020 della Corte di Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 3717/2020
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1. Con ordinanza del 18 aprile 2019 il Tribunale del Riesame di Napoli dichiarava inammissibile l’appello proposto, ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., quale terza interessata, da A.D., avverso l’ordinanza con la quale la Corte di Appello di Napoli aveva, a sua volta, dichiarato inammissibile l’istanza di revoca del sequestro preventivo di un box garage oggetto di contratto di compravendita da lei stipulato, non ravvisando, in capo alla ricorrente, la titolarità del dedotto diritto reale.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione A.D., con il ministero del difensore, che svolge un solo motivo con il quale deduce violazione dell’art. 125 comma 3 cod. proc. pen. e dell’art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 e correlato vizio della motivazione.
2.1. Espone che, con rogito notarile del 05/09/2011 la ricorrente aveva acquistato dalla T. Costruzioni s.a.s. un immobile abitativo e il diritto di uso esclusivo di un box garage pertinenziale da individuarsi a cura della società venditrice. Il sequestro penale disposto sugli immobili della società T. Costruzioni s.a.s. aveva fatto salvo il diritto di proprietà della ricorrente quale acquirente in buona fede; tuttavia, a seguito del provvedimento con il quale gli amministratori giudiziari non le avevano attribuito il diritto di uso esclusivo del box, era stata proposta istanza di dissequestro alla Corte di Appello, e, quindi, al Tribunale del Riesame di Napoli. Entrambi i giudici avevano dichiarato l’istanza inammissibile per difetto di legittimazione attiva, dal momento che la ricorrente non aveva mai conseguito alcun titolo reale sul box in questione, avendo il Tribunale del Riesame considerato la vendita come obbligatoria, nei termini della vendita di cosa generica di cui all’art. 1378 c.c. con effetto reale differito al momento della c.d. individuazione che, nel caso di specie, non è mai avvenuta. Il mancato conseguimento del diritto reale determina l’ assenza di legittimazione attiva della ricorrente, mai divenuta titolare del diritto di uso in questione.
2.2. Deduce la difesa che, erroneamente, il Tribunale gravato ha considerato il diritto di uso del garage come un diritto reale, con conseguente qualificazione della vendita come generica, trattandosi, invece, di un diritto reale atipico di natura condominiale e di creazione giurisprudenziale avente molte affinità con la servitù di parcheggio, al pari della quale si manifesta come jus in re aliena, e che si trasferisce unitamente all’unità alla quale accede e di durata tendenzialmente perpetua. Il diritto in questione troverebbe fondamento nell’art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942.
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Come osservato dal Tribunale, la ricorrente non era divenuta ancora titolare di alcun diritto esclusivo sul box garage, del quale mancava, nel rogito notarile della compravendita dell’appartamento, la individuazione fisica del bene; né, successivamente, tale individuazione è stata richiesta all’amministrazione giudiziaria subentrata al venditore a seguito dei provvedimenti emessi dall’A.G..
In assenza di tale individuazione , occorre fare riferimento ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, per la quale, in tema di condominio negli edifici, il disposto dell’art. 1102 cod. civ., secondo cui ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, presuppone però che l’utilità, che il condomino intenda ricavare dall’uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima. (Sez. 2, n. 12310 del 07/06/2011).
Correttamente, il Tribunale ha ritenuto la ricorrente priva della legittimazione attiva, in carenza dell’individuazione del bene e, quindi, non titolare dell’invocato diritto di uso esclusivo, trattandosi di bene che, fino alla predetta individuazione, deve essere considerato quale parte comune dell’edificio.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge (art. 616 cod. proc. pen) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in euro 2000.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.