Come puntualizza la Cassazione con l’ordinanza 7409 del 15 marzo 2019, di cui riportiamo u estratto, nel determinare se a carico di un professionista (nella fattispecie un ingegnere) debba gravare o meno l’Irap, “non ha fondamento la tesi secondo cui i compensi a terzi rilevano solo se corrisposti a dipendenti subordinati mentre, al contrario, essi sono indice del superamento della struttura organizzativa minimale anche quando sono corrisposti a terzi professionisti”.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V civ., ord. 15.3.2019,
n. 7409
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1. Il contribuente esercita la libera professione di ingegnere ed ha richiesto la restituzione dell’IRAP versata per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, ricevendo il rifiuto dall’Amministrazione finanziaria che ha debitamente impugnato avanti la CTP competente, senza trovare riscontro favorevole alle proprie ragioni.
Interponeva quindi appello che trovava parziale accoglimento, poiché la CTR riteneva che limitatamente all’anno di imposta 2009 il contribuente avesse gestito la propria attività professionale “intuitu personae”, senza cioè avvalersi dell’opera di collaboratori o terzi, mentre, per gli altri anni, l’esposizione in dichiarazione di ricorrenti compensi ad altri professionisti sarebbe indiscusso indice di autonoma organizzazione che supera i limiti minimali tollerati per l’esenzione dall’imposta che, viene ricordato, ha carattere reale e colpisce non il reddito bensì il valore aggiunto prodotto da attività autonomamente organizzate, la cui prova di esistenza è circostanza di mero fatto rimessa al giudice di merito, secondo l’insegnamento della Consulta.
Avverso questa sentenza, nel capo che lo vede soccombente, spicca ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a due motivi di gravame.
Replica con puntuale controricorso il patrono erariale.
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 del d. lgs. n. 446/1997 in parametro all’art 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., nella sostanza eccependosi di non aver impiegato lavoro altrui, ma di aver corrisposto somme a liberi professionisti che – proprio per l’autonomia che li caratterizza – non possono essere considerati collaboratori o componenti di una organizzazione strutturata, capace di produrre ricchezza, il cui valore aggiunto è colpito dall’imposta de qua.
Richiama al proposito un precedente di questa Corte (Cass. n. 23778/2009), ove è stato riconosciuto il rimborso IRAP ad un professionista che si è avvalso di collaborazioni per lire 22.000.000.
Con il secondo motivo si lamenta contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in parametro all’art. 360, comma primo, n. 5 codice di rito, riproponendo sotto diverso profilo la medesima doglianza di cui al motivo precedente, più precisamente censurando l’argomentazione del giudice di merito, ove trae ragione di convincimento della sussistenza dell’organizzazione autonoma da pagamenti a terzi per prestazioni professionali ricevute, laddove l’aggettivo “professionali” esclude quel rapporto di subordinazione necessario per erigere una stabile organizzazione.
Osserva, infine, di aver avuto dalla VI sezione di questa Corte una pronuncia favorevole in analoga vicenda e relativa ad altra annualità, reclamando l’effetto esterno del giudicato che vorrebbe riflesso anche nel caso qui all’esame.
2. I due motivi, per la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, premettendo che non si pongono profili di giudicato esterno tra annualità diverse di IRAP, che godono di autonomia e dove l’organizzazione può mutare, evolvendosi ora al di sopra, ora al di sotto del livello minimo di rilevanza ai fini tributari, trattandosi di res facti, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito.
2.1. La questione verte allora sostanzialmente sull’equiparazione dei compensi per prestazioni professionali (rese da soggetti autonomi e non integrabili in un’organizzazione) con i compensi stabilmente pagati a terzi.
2.2. È ormai consolidato orientamento di questa Corte, all’esito delle sentenze rese dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 26 maggio 2009; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009 n. 12108; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12109; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12110), che, in tema di Irap, il professionista «è escluso dall’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni».
2.3. Si è pure precisato (Cass. 25 settembre 2013, n. 25109) che l’applicazione dell’imposta deve trovare giustificazione in una specifica capacità contributiva del soggetto colpito, che coinvolge la capacità produttiva dell’obbligato se accresciuta e potenziata da una attività autonomamente organizzata, nel cui ambito assume rilievo anche la presenza di un solo dipendente – quale elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito – ma senza che di per sé l’apporto del lavoro altrui induca ad affermare il requisito di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 446 del 1997, spettando tale apprezzamento al giudice di merito (Cfr., recentemente in termini, 30225/2018).
Argomentando a contrariis, anche l’arresto delle Sezioni unite n. 9451 del 2016 secondo cui la presenza di un solo dipendente non comporta il superamento del limite della struttura organizzativa minima e quindi la sottoposizione a imposta, alla condizione che svolga mansioni meramente esecutive. Nel caso all’esame, il ricorrente non retribuisce prestazioni meramente esecutive, bensì prestazioni professionali qualificate, tali cioè da fornire un apporto qualificato al proprio lavoro professionale, indice di organizzazione, di modalità fondate sulla necessaria collaborazione altrui.
2.4. L’arresto delle Sezioni Unite, e la giurisprudenza che ne è seguita, guarda al lavoro altrui, senza distinguere se si tratti di lavoro professionale o meno. Per contro, rileva la circostanza che si tratti di apporto che trascende la capacità del contribuente, senza il quale non sarebbe in grado di rendere, a sua volta, la prestazione richiesta o la renderebbe in tempi più lunghi o quantità limitata.
Non ha quindi fondamento la tesi secondo cui i compensi a terzi rilevano solo se corrisposti a dipendenti subordinati mentre al contrario essi sono indice del superamento della struttura organizzativa minimale anche quando sono corrisposti a terzi professionisti (sulla cui rilevanza quali indice sintomatico della sussistenza del presupposto della autonomia organizzativa, cfr. Cass. n. 22674/2014; n. 27423/2018).
Pertanto, con giudizio di fatto, insuscettibile – come più volte ripetuto – di sindacato avanti questa Corte, il giudice di merito ha coerentemente motivato ritenendo che i compensi erogati a terzi (professionisti o meno) per gli anni 2006, 2007 e 2008 siano in misura tale da far presumere necessario il loro apporto per l’attività del contribuente, senza i quali non avrebbe potuto svolgersi o non avrebbe potuto svolgersi in quella determinata maniera.
In conclusione il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza in ragione del consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale di riferimento, già fissato dalle Sezioni Unite alla data di inizio del giudizio di primo grado.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in euro.duemilatrecento, oltre a spese prenotate a debito.