Se l’art 1102 cod. civ., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile, una delibera con cui si vorrebbe limitare il diritto di due condòmini di coltivare i loro fiori anche nelle aiuole comuni condominiali può comunque essere giudicata illegittima. È quanto evidenziato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 2957 del 7 febbraio 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 7.2.2018,
n. 2957
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Con ricorso al giudice di pace di Cagliari depositato in data 18 giugno 2010, G.S. e V.I., condòmini dello stabile sito in …, hanno impugnato la delibera assembleare del 21/05/2010 con cui era stato stabilito che le aiuole e spazi verdi condominiali dovessero essere lasciati liberi da qualsiasi ingombro, a seguito della quale l’amministratrice aveva provveduto autonomamente a rimuovere i vasi e le piante del signor G.S. ivi collocate.
(omissis)
4. Con ulteriore ricorso depositato in data 15/10/2010 i predetti condòmini hanno impugnato la successiva delibera assembleare del 06/09/2010, con cui sono stati determinati il divieto di utilizzare le aiuole condominiali per piantarvi essenze vegetali, di deporre vasi o materiali sugli spazi comuni e nei pressi di taluni pilastri, nonché la recisione della pianta rampicante collocata nell’aiuola condominiale a ornamento del balcone del signor G.S.; con la delibera è stata altresì decisa la conclusione di una transazione di una causa.
(omissis)
4. I signori G.S. e V.I. hanno impugnato la decisione con appello al tribunale di Cagliari, sostenendo, sulla resistenza del condominio:
(omissis)
b) l’infondatezza dell’eccezione medesima, sia con riferimento alla materia, essendo nel caso di specie in contestazione non la titolarità del diritto di proprietà sulle parti comuni, ma la liceità o meno delle limitazioni imposte dall’assemblea al diritto di godimento delle cose comuni da parte dei condòmini, sia con riferimento al valore, avendo gli appellanti indicato il medesimo in una somma inferiore a euro 5.000.
6. Il tribunale di Cagliari con sentenza depositata il 30/07/2013 ha (omissis) dichiarato infine fondato l’appello nel merito, disponendo l’annullamento delle delibere del 21.05.2010 e del 06.09.2010 siccome contrastanti con gli artt. 1102 e 1136 cod. civ., quanto rispettivamente alle decisioni concernenti l’uso delle aiuole e spazi comuni nonché la transazione della lite in assenza di maggioranza ove non poteva comprendersi il voto del signor Z., e condannando il condominio al risarcimento dei danni per euro 849,29 nei confronti del signor G.S. per la rimozione e distruzione delle piante di sua proprietà, oltreché alla somma, equitativamente determinata, di € 3.000, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ.
7. Avverso la predetta decisione il condominio ha proposto ricorso per cassazione, articolato su cinque motivi e illustrato da memoria. Hanno resistito i signori G.S. e V.I. con controricorso.
(omissis)
5. È infondato, poi, il quarto motivo (indicato, per evidente refuso, con la lett. c) dopo che anche il precedente era indicato con la stessa lettera); con esso il condominio lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., in relazione all’art. 1102 cod. civ., contestando che – nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito che regolamentare l’uso delle parti comuni vietando l’apposizione di vasi, essenze vegetali, materiali per il giardinaggio ecc. svilirebbe a tal punto il diritto di comunione sulle parti comuni da impedire l’uso di tutti i partecipanti su esse – vi sia stata affermazione di una regula iuris difforme da quella contemplata dalla citata disposizione.
6. In argomento, va premesso che la decisione del tribunale appare in continuità con la giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 27233 del 04/12/2013) per cui l’art 1102 cod. civ., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile; ne consegue che, i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge (fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni).
Nel caso di specie, l’affermazione del tribunale, secondo la quale sarebbero illegittime (il tribunale adopera la categoria della nullità, ciò che non rileva ai fini dell’impugnazione – ma cfr. Cass. sez. U. n. 4806 del 07/03/2005) le delibere in questione in quanto impedirebbero ai singoli condòmini di porre proprie piante a dimora nelle aiuole comuni (con rimozioni di arbusti privati), ravvisando nelle delibere un intento emulativo e un abuso di maggioranza, con statuizione secondo cui sarebbe la piantumazione in questione espressione del diritto di ciascun condomino di migliorare l’uso delle aiuole ex art. 1102 cod. civ., non contrasta con la retta interpretazione di questa norma, pur essendo eventualmente opinabile nel merito. In tal senso, sotto la veste di impugnazione per violazione di legge, il motivo si traduce in una istanza di riesame dell’apprezzamento fattuale operato dal tribunale, inesigibile da questa corte di legittimità al di fuori del sindacato sulla motivazione (oggi ridotto al “minimo costituzionale” dell’“omesso esame” di cui al testo del riformato n. 5 dell’art. 360 primo comma cod. proc. civ. applicabile alla presente controversia ratione temporis).
(omissis)
8. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
(omissis)
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200 per esborsi ed euro 1.500 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.