Un regolamento di natura contrattuale non può essere modificato a semplice maggioranza. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione, al termine di una controversia attinente al rispetto del decoro architettonico nell’ambito dei lavori di recupero ai fini abitativi del sottotetto condominiale.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 27.5.2020,
n. 9957
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Il giudizio trae origine dalla domanda, proposta innanzi al Tribunale di Milano dal Condominio … nei confronti dei condòmini G.F., V.F. e M.P., con la quale chiedevano dichiararsi l’illegittimità dei lavori eseguiti dai convenuti, consistenti nel recupero, ai fini abitativi del sottotetto, trattandosi di innovazioni vietate ai sensi dell’art. 1120 c.c., perché alteravano il decoro architettonico.
Si instaurava il contraddittorio con la costituzione dei convenuti, che resistevano alla domanda e chiedevano il risarcimento dei danni derivante dall’illegittimo rifiuto del condominio all’esecuzione dei lavori.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata il 19 gennaio 2015, confermava la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda principale e la domanda riconvenzionale.
La corte distrettuale riteneva inammissibile, perché dedotta per la prima volta in appello, la violazione dell’art. 8 del regolamento condominiale, che vieta qualunque modifica dell’aspetto esterno dell’edificio, in quanto in primo grado era stata lamentata la violazione dell’art. 1120 c.c., con riferimento alle innovazioni che alterano il decoro architettonico. Secondo la corte di merito, si trattava di diverse pretese, in quanto l’art. 8 del regolamento condominiale vieta qualunque opera riguardante le parti comuni dell’edificio mentre l’art. 1120 c.c. richiede l’ulteriore requisito dell’alterazione al decoro architettonico.
Per l’interpretazione del regolamento condominiale, la corte di merito faceva riferimento alla delibera condominiale del 25.2.2003, con la quale era stato autorizzato l’intervento sul sottotetto purché conforme al disegno architettonico della facciata e purché non vi fosse un pregiudizio per la statica dell’edificio. Detta interpretazione, in assenza di specifica contestazione, era coperta dal giudicato, sicché era inammissibile un’interpretazione del regolamento condominiale, in forza della quale sarebbero vietate “tutte le opere interessanti le parti comuni dell’edificio”.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso il Condominio sulla base di tre motivi.
Hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale G.F., V.F. e M.P. sulla base di due motivi, al quale ha resistito con controricorso il Condominio ….
(omissis)
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa interpretazione dell’art. 1362 c.c. in relazione al regolamento condominiale ed agli artt. 1120 c.c., 1137 c.c., 1138 c.c., 1350 c.c., 1372 c.c., 2909 c.c., in relazione all’art. 360 comma 2 e 3 c.p.c., per avere la corte distrettuale interpretato il regolamento condominiale, facendo riferimento alla volontà dei conòomini manifestata nella delibera del 25.2.2003, con la quale i medesimi nulla obiettavano in ordine al progetto di modifica delle parti comuni; la corte di merito non avrebbe tenuto conto che, trattandosi di regolamento di natura contrattuale, non avrebbe potuto essere modificato a semplice maggioranza, ma con il consenso unanime dei condòmini, in quando incidente sul decoro architettonico. Contestava, inoltre, che si fosse formato il giudicato per assenza di opposizione alla citata delibera condominiale in quanto l’oggetto della delibera era limitato al riconoscimento della legittimità degli interventi purché conformi al regolamento condominiale.
Il motivo è fondato sotto diversi profili.
È incontestato che il regolamento del Condominio … abbia natura contrattuale e che la domanda dal medesimo proposta fosse diretta alla declaratoria di illegittimità dei lavori eseguiti dai convenuti, consistenti nel recupero, ai fini abitativi, del sottotetto, perché lesivi del decoro architettonico.
Nell’interpretare il regolamento contrattuale, il giudice deve utilizzare i canoni ermeneutici previsti dal codice civile e quindi leggere le clausole complessivamente e non limitarsi alla singola disposizione (art. 1363 c.c.) e cercare di ricostruire la volontà e l’intenzione delle parti contraenti (art. 1362 c.c. (Cassazione civile sez. VI, 03/05/2018, n.10478).
L’art. 1362 c.c., allorché nel comma 1 prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cassazione civile sez. II, 22/08/2019, n. 21576).
La corte di merito ha interpretato l’art. 8 del regolamento contrattuale e, in particolare della volontà delle parti, non sulla base dei citati criteri ermeneutici, ovvero tenendo conto del dato letterale e delle altre clausole contrattuali, ma sulla base del comportamento successivo, costituito dal contenuto della delibera del 22.5.2003, nella quale il condominio nulla obiettava in relazione al progetto di realizzazione del recupero dell’abitabilità dei sottotetti, secondo il progetto presentato.
Tale delibera, che non risulta essere stata adottata all’unanimità, non poteva costituire l’unico parametro interpretativo per l’individuazione della volontà dei condòmini espressa nel regolamento contrattuale, né era idonea a modificarlo perché attinente ad innovazioni incidenti sul decoro architettonico.
In tale ipotesi, infatti, esula dai poteri istituzionali dell’assemblea dei condomini la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dello edificio condominiale, alla stregua dell’art. 1138 c.c., comma 4 (Cassazione civile sez. VI, 18/11/2019, n.29924).
Ne consegue che l’interpretazione del regolamento contrattuale, erroneamente basata sulla delibera condominiale del 22.5.2003, non poteva avere autorità di giudicato.
La sentenza va, pertanto cassata, e, rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, che, sulla base dei principi enunciati, accerterà se i lavori compiuti dai convenuti siano lesivi dell’art. 8 del Regolamento condominiale.
(omissis)
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il primo, dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.