Riportiamo, di seguito, un estratto della sentenza numero 46158 della Corte di Cassazione, secondo cui “non sussiste il reato di interferenze illecite nella vita privata altrui nel caso in cui la domestica riprenda gli ambienti di lavoro con finalità limitate al giudizio di lavoro”.
Il caso vedeva una donna, lavoratrice domestica “in nero”, essere condannata per il reato di cui all’art. 615-bis c.p., per avere effettuato riprese fotografiche all’interno dell’abitazione del datore di lavoro.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 46158/2019
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1. Con sentenza, emessa in data 5/12/2017, la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza emessa in data 10 novembre 2015 dal locale Tribunale, con cui D.M. è stata condannata alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al rimborso delle spese e al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, in relazione al reato di cui all’art. 615 bis c.p., contestato alla prevenuta per aver effettuato riprese fotografiche all’interno dell’abitazione di M.C. e M.R., poi prodotte in sede di giudizio relativo al rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti lese e la stessa D.M..
2. L’imputata, tramite difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, con cui ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Vizi di violazione di legge e di motivazione, ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), codice di rito, in relazione al reato di cui all’art. 615 bis c.p..
La riservatezza domiciliare, bene giuridico in considerazione del quale è stato introdotto il reato in questione, non è lesa, ove le riproduzioni fotografiche siano limitate ad una mera raffigurazione spaziale, operata, peraltro, dall’esponente, pienamente autorizzata ad accedere ad ogni parte del domicilio protetto. Si tratterebbe di un’inevitabile forzatura del concetto di vita privata, posto che l’art. 615 bis c.p. intende sanzionare riprese di vite attinenti alla vita privata, non già la condotta, lecita, di procurarsi immagini dei luoghi indicati nella medesima disposizione. In tale ottica è auspicabile una lettura costituzionalmente orientata in distonia con quanto sostenuto invece nella sentenza impugnata.
2.2. Vizio di motivazione, ex art. 606, comma 1, lett.e), codice di rito, con riferimento agli art. 51 e 615 bis c.p.p.. Sarebbe errata l’argomentazione del giudice d’appello secondo cui la produzione dei fotogrammi nella causa giuslavoristica intentata dall’odierna. ricorrente non sarebbe scriminata in ogni caso dall’esimente dell’esercizio di un diritto. Si confonde così la condotta, consistita nell’aver effettuato le riprese fotografiche in questione, con quella di utilizzarne il risultato, il che dimostrerebbe il vizio motivazionale.
1. L’art. 615 bis c.p. punisce chi, con strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura notizie o immagini relative alla vita privata che si svolge nei luoghi indicati dall’art.614 c.p..
Il riferimento ai luoghi indicati nell’art. 614 c.p. è puramente indicativo di un richiamo a quei luoghi, senza che la disciplina del reato di violazione di domicilio possa essere a sua volta recepita nella disposizione sopra richiamata.
Al riguardo, va richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il riferimento, contenuto nel primo comma dell’art. 615 bis cod. pen. ai luoghi indicati nell’art. 614 dello stesso codice, ha la funzione di delimitare gli ambienti nei quali l’interferenza nella altrui vita privata assume penale rilevanza, ma non anche quella di recepire il regime giuridico dettato dalla disposizione da ultima citata. (Sez. 5, n. 9235 del 11/10/2011).
Delineato così il parametro di applicazione della fattispecie criminosa contestata, va detto che secondo la giurisprudenza di legittimità più recente, non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis cod. pen.) la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva, in un’abitazione in cui sia lecitamente presente, filma scene di vita privata, in quanto l’interferenza illecita normativamente prevista è quella realizzata dal terzo estraneo al domicilio che ne violi l’intimità, mentre il disvalore penale non è ricollegato alla mera assenza del consenso da parte di chi viene ripreso (Sez. 5, n. 27160 del 02/05/2018).
Va richiamata, altresì, altra pronuncia, secondo la quale integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615-bis cod. pen. la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all’interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe; ne consegue che detto reato non è configurabile allorché l’autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l’atto della vita privata oggetto di captazione (Sez. 5, n. 36109 del 14/05/2018).
Tali pronunce delineano, in modo chiaro e netto, la riferibilità dell’autore del reato ad un soggetto che carpisca immagini relativi a luoghi di privata dimora in cui il medesimo non sia ammesso, il che costituisce all’evidenza la realizzazione di un atto di interferenza nell’ambito privato altrui.
Ulteriore presupposto di tale reato, desumibile dai richiamati arresti giurisprudenziali, è poi costituito, da un lato, dalla compartecipazione dell’autore delle riprese all’evento, oggetto di disamina, e, d’altro canto, dal disvalore obiettivo delle immagini, riprese da un soggetto, lecitamente inserito nei luoghi di privata dimora (dizione, quest’ultima, presupponente un preventivo consenso da parte dei titolari all’accesso a tali luoghi da parte del soggetto in questione).
2. Poste tali premesse, implicanti un approfondimento e un’analisi della ratio della disposizione e del suo ambito di applicazione, va detto che, nel caso di specie ricorrono le condizioni per un proscioglimento ampio, perché il fatto non sussiste.
Nella fattispecie è indubbio che l’odierna ricorrente fosse autorizzata ad accedere nel luogo di abitazione delle parti lese.
Altro dato pacifico è rappresentato dalla produzione delle immagini, relative agli ambienti interni e al mobilio ivi presente, nel corso del giudizio, avente ad oggetto il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la prevenuta e le parti lese.
Ne consegue, acclarata la legittima presenza della ricorrente nei luoghi di privata dimora di pertinenza delle p.o., la mancanza di un disvalore obiettivo, non essendo state riprese scene della vita privata, ma solo gli ambienti e i loro arredi.
E ciò è confermato, senza necessità di richiamare l’esimente dedotta, anche dalla limitatezza del fatto, considerato obiettivamente, al solo ambito del giudizio, a fini strettamente legati alla difesa della stessa ricorrente.
Trattasi di circostanze che escludono per altra via il carattere indebito della ripresa limitata ad una ristretta utilità.
3. Alla luce delle considerazioni esposte, si deve annullare la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.