Con la sentenza 19519/2020, di cui riportiamo un estratto, la Corte di Cassazione ribadisce due principi di grande importanza in materia di appropriazione indebita.
In primo luogo, l’illecito si consuma al momento della cessazione della carica: momento in cui, in mancanza di restituzione dell’importo delle somme ricevute nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso.
In secondo luogo, perché si integri il reato è sufficiente che l’amministratore, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomìni su un unico conto di gestione, a lui intestato.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 19519/2020
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1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, parzialmente riformando, con riguardo al solo trattamento sanzionatorio, la sentenza del Tribunale di Milano del 16 luglio del 2018, confermava la responsabilità del ricorrente per il reato di appropriazione indebita continuata commessa ai danni di due condomini dei quali era amministratore ed avente ad oggetto somme di danaro in suo possesso.
2. Ricorre per cassazione F.G., deducendo:
1) violazione di legge per non avere la Corte di appello dichiarato la prescrizione delle condotte appropriative inerenti, quanto al condominio di via … in Milano, agli assegni del 18 aprile e 14 luglio del 2011, a quelle date essendosi verificata la dispersione del danaro indipendentemente dal momento in cui l’imputato aveva cessato di ricoprire l’incarico di amministratore del condominio; inoltre, trattandosi di reato continuato, la prescrizione avrebbe dovuto essere calcolata con riferimento alle singole violazioni;
2) violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 646 cod. pen.. L’imputato avrebbe usato modalità non ortodosse nella gestione dei conti dei vari condomini e del proprio conto personale, creando una confusione tra poste riferibili ad uno o ad altro condominio, senza, tuttavia, appropriarsi di alcunché, in quanto da una visione di insieme sarebbe emerso che egli aveva tenuto una “gestione contabile unica” ed avrebbe legalmente operato.
Tanto viene sostenuto in ricorso con riferimento ad entrambi i condomini per i quali è stata affermata esistente l’appropriazione indebita.
(omissis)
4) Con l’ultimo motivo, si sostiene che il ricorrente avrebbe agito con la “ragionevole persuasione” di aver ricevuto una autorizzazione da parte dei condominii, sicché si invoca l’applicazione della scriminante di cui all’art. 50 cod.pen..
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Quanto al primo motivo, occorre precisare che il Tribunale aveva già dichiarato la prescrizione delle condotte illecite antecedenti al 18 aprile del 2011.
La Corte di appello, a fg. 3 della sentenza impugnata, ha fatto decorrere il termine di prescrizione dal momento della cessazione della carica, aderendo correttamente alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioè nel momento in cui l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. (Nella specie, la Corte ha ritenuto consumato il delitto di appropriazione indebita delle somme relative al condominio, introitate a seguito di rendiconti, da parte di colui che ne era stato amministratore, all’atto della cessazione della carica, momento in cui, in mancanza di restituzione dell’importo delle somme ricevute nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso) (omissis).
Il Collegio intende ribadire tale orientamento, che rende manifestamente infondato il rilievo con il quale si richiamano le regole in tema di prescrizione nel reato continuato, posto che il reato è stato portato a consumazione solo con la interversione del possesso intervenuta con la cessazione della carica di amministratore da parte del ricorrente ed indipendentemente dalla dispersione dei beni in data antecedente, potendo l’imputato, fino al momento della cessazione della carica, reintegrare il condominio delle somme di danaro disperse, trattandosi di bene per sua natura fungibile.
Ne consegue, che nessuna condotta illecita ulteriore rispetto a quelle dichiarate prescritte dal Tribunale, si era estinta per tale causa all’atto della pronuncia della sentenza impugnata.
2. Quanto al secondo motivo – che attiene ad entrambe le gestioni dei condomini individuati come parti lese, le deduzioni difensive sono eccentriche rispetto alla decisione impugnata, nella parte in cui, con accertamento di merito qui non rivedibile in quanto basato su dati di fatto, la Corte di appello ha affermato che era emerso il “dato oggettivo che consistenti somme sono state versate dai conti intestati ai condominii parti offese sul conto personale dell’imputato, che tali somme andavano ben al di là delle sue spettanze per il lavoro svolto, che le stesse non sono state restituite se non in minima parte e che sono residuate al termine della gestione dell’imputato consistenti esposizioni debitorie dello stesso nei confronti dei condominii” (fg. 4 della sentenza impugnata).
In ogni caso, la asserita regolarità gestionale, che avrebbe avuto solo il difetto della confusione, comunque non escluderebbe il reato, secondo quanto sostenuto dalla pacifica giurisprudenza di legittimità attinente a casi analoghi, correttamente citata dalla Corte di appello e sulla cui portata il ricorso ha sorvolato.
L’amministratore di più condomini che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomìni su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell’amministratore o ad esigenze dei condomìnii amministrati, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento (omissis).
(omissis)
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato e generico. La Corte di appello ha precisato – ma di ciò il ricorso non ha tenuto conto – che il ricorrente non aveva ottenuto alcuna autorizzazione da parte dei condomini ad operare nei termini descritti in ricorso; al contrario, le sue pronte dimissioni dopo la convocazione per “rendere il conto” dimostravano quanto egli fosse consapevole di aver commesso il reato senza alcuna causa di giustificazione possibile (fg. 5 della sentenza impugnata).
(omissis)
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle Ammende.