Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condòmini di un edificio condominiale, solo ove risultino compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. È quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 12/2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 3.1.2017,
n. 12
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Con sentenza del 13/6/2006 il Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Partinico, accogliendo la domanda avanzata da B.G. (e altri), dichiarò che il sottotetto dell’edificio, sito in …, era di proprietà condominiale, costituendo, inoltre, servitù coattiva di passaggio in favore degli appartamenti e a carico del vano sito all’ultimo piano di proprietà della convenuta S.A..
Proposto appello la convenuta, la Corte palermitana, con sentenza depositata l’1/7/2011, rigettò la domanda.
Per quel che è utile anticipare in questa sede, va riferito che la S.A. alla quale in origine apparteneva l’edificio, riservatasi la proprietà di un piccolo vano posto al secondo ed ultimo piano, alienò, con tre distinti atti notarili tutte le unità immobiliari (omissis). Attraverso una botola dal vano in proprietà esclusiva, mediante una scala in legno aveva messo in comunicazione il sottotetto, che aveva provveduto a modificare abusivamente, rendendolo abitabile, allacciandosi alle utenze ed agli scarichi condominiali, aprendo una finestrella sul muro perimetrale e aperture amovibili.
Avverso la sentenza d’appello ricorrono per cassazione gli originari attori.
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1350, 2464, 1362, co. 2, 2702, cod. civ., 112, 116,cod. proc. civ., dell’art. 17 della I. n. 47/1985, dell’art. 46 del d.P.R. n. 380/01, nonché omessa o insufficiente motivazione su punti controversi e decisivi.
Assumono i ricorrenti che la Corte di merito ove avesse posto attenzione al primo atto di alienazione (omissis) avrebbe dovuto rendersi conto che l’alienante, assegnata all’acquirente la «chiostrina», si era riservata la sola «area libera soprastante l’edificio», quindi al disopra del tetto, con la conseguenza che quant’altro cadeva in comunione condominiale. Non solo, proseguono i ricorrenti, la S,A. non aveva assolto all’onere probatorio di dimostrare di essere la proprietaria esclusiva del sottotetto, vi era la prova che lo stesso era stato immutato dalla medesima dopo il confezionamento degli atti, stante che al momento del sopralluogo per l’assegnazione dell’abitabilità, non era financo possibile accedervi, mancando la botola e, tantomeno, quindi, lo stesso si presentava trasformato in mansarda, al fine di renderlo abusivamente abitabile. La Corte di merito aveva malamente vagliato le prove testimoniali, dalle quali non era dato trarre che il mutamento di destinazione fosse avvenuto anteriormente all’anno 1988 e non tenuto conto della documentazione amministrativa versata in atti, dalla quale si traeva univocamente che trattavasi di un volume tecnico, privo dei requisiti di abitabilità, tali da poterlo considerare una mansarda.
La censura è infondata.
Va osservato che la S.A., costruttrice ed originaria proprietaria dell’intiero fabbricato, al contrario di quel che si afferma in ricorso, non ebbe a cedere ad alcuno degli acquirenti il sottotetto, con la conseguenza che esso è rimasto nella di lei appartenenza. Né, può inferirsi la circostanza che del predetto la stessa abbia inteso spogliarsi dal mero fatto di aver fatto espressa riserva dell’area sovrastante, stante che una tale riserva, la quale può accompagnarsi con la dismissione della proprietà del sottotetto, non implica, tuttavia, di logica necessità una tale evenienza; la quale avrebbe avuto bisogno di una formulazione inequivoca.
La immutazione dei luoghi operata dalla S.A., anche in violazione delle prescrizioni urbanistico-edilizie, come pare, non inficia l’argomento di cui sopra, quale che fosse stata l’epoca dell’intervento. Né risulta provato l’uso ed il godimento comune del predetto locale, che ne avrebbe importato, per criterio funzionale di legge (art. 1117, n. 3, cod. civ.), la condominialità.
Con il secondo motivo, denunziante violazione e falsa applicazione degli artt. 112, cod. proc. civ., 2043, 1122, cod. civ., nonché «inesatta valutazione della prova su un punto controverso e decisivo», viene esposto che con l’originario atto di citazione gli attori avevano fatto confluire nella domanda due cause petendi: «l’una radicata sulla violazione dell’art. 1120 c.c.; l’altra, se non pure sulla violazione dell’art. 1122 c.c. certamente ex art. 2043 c.c.». Sulla domanda risarcitoria la Corte territoriale aveva omesso di decidere, pur dovendo scorgersi l’esistenza del danno ingiusto arrecato, essendo stato violato il limite posto dall’art. 1122, cod. civ. e certamente il principio del neminem laedere, essendosi procurato illegittima mutazione del riparto millesimale, procurato un ingiusto sovraccarico urbanistico, disturbo della quiete, abuso delle parti comuni, sovraccarico statico in zona sismica.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti, invero, non hanno affatto allegato di aver proposto una simile domanda in primo grado e di averla, indi, coltivata impugnando incidentalmente la decisione del Tribunale sul punto.
Con il terzo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 949, cod. civ., nonché della «inesatta valutazione della prova su un punto controverso e decisivo».
La S.A. non aveva diritto di aprire vedute su parti di proprietà esclusiva (la chiostrina ceduta ai danti causa dei B.).
Trattasi di doglianza che non merita di essere accolta.
Sul punto la Corte di merito ha così motivato: «Quanto alla finestra B la stessa prospetta solo sull’intercapedine laterale al fabbricato di proprietà dell’appellata; la finestra A prospetta sul pozzo luce condominiale, sul quale si aprono anche quelle degli altri appartamenti. Dappoiché, negli edifici in condominio sono illegittime solo le vedute aperte su parti di proprietà esclusiva, appare evidente che nessun diritto hanno gli appellanti di chiedere la chiusura delle finestre in questione». Trattasi di una corretta conclusione in diritto. Le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, solo ove risultino compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ. (e qui una tale questione non risulta posta), deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Sez. 2, n. 6546 del 1873/2010).
I presupposti fattuali, logicamente vagliati dal giudice del merito, è appena il caso di soggiungere, non possono essere rimessi qui in discussione.
(omissis)
Al rigetto non consegue alcuna statuizione sulle spese non avendo la controparte svolto difese in questa sede.
Rigetta il ricorso.