Commette reato di violazione di domicilio la portinaia del condominio la quale, a insaputa dei proprietari, in quel momento assenti, dovesse affittare a terzi i loro appartamenti, dei quali detiene copia delle chiavi per le emergenze. È questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta la Cassazione con la sentenza 14668/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 14668/2019
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1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di L’Aquila ha confermato, anche agli effettivi civili, la condanna di G.A. per il reato di violazione di domicilio, commesso ai danni di S.F..
L’affermazione di responsabilità dell’imputata si fonda sulla deposizione di S.F., corroborata dal teste D.M., da cui emerge che la persona offesa, residente a Napoli, si era recata presso il proprio appartamento sito in …, aveva constatato che lo stesso era stato usato in sua assenza e a sua insaputa, ricevendo nell’immediatezza la confessione di G.A., addetta alla portineria in possesso delle chiavi, la quale aveva ammesso di averlo affittato per alcuni giorni a un’amica della figlia, percependo un compenso.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata, tramite il difensore, articolando quattro motivi, di seguito enunciati ex art. 173, comma 1 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
(omissis)
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni non sarebbero state sottoposte al necessario vaglio, trattandosi di soggetto interessato all’esito del processo, stante la costituzione di parte civile.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione sugli elementi costitutivi del delitto di violazione di domicilio.
L’introduzione dell’imputata all’interno dell’appartamento sarebbe frutto di mera congettura, poiché non è detto che chi affitta un locale debba necessariamente entrarvi.
Difetterebbe il requisito della contraria volontà tacita espressa dalla proprietaria dell’appartamento.
La locazione di un bene da parte del detentore è valida agli effetti civili.
Tra le parti vi era un consolidato rapporto di fiducia, in forza del quale l’imputata, su incarico della persona offesa, si era occupata della manutenzione dell’immobile e della vigilanza sulla esecuzione di lavori edili.
Alcuni anni prima l’immobile era stato affittato a terzi per il tramite della famiglia B. (ndr: famiglia dell’imputata).
In tale situazione il dissenso non sarebbe dimostrato ma erroneamente ritenuto in re ipsa.
2.4. Con il quarto motivo la ricorrente fa valere analoghi vizi in punto di elemento soggettivo del reato.
L’imputata avrebbe agito in buona fede come si ricaverebbe dalla circostanza che la stessa non ha riassettato l’appartamento prima della venuta della proprietaria nella convinzione di non aver compiuto nulla di illecito.
1. Il ricorso è inammissibile.
(omissis)
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato sotto il profilo giuridico e generico in rapporto alla fattispecie concreta.
3.1. Va ricordato che la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell’imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi terzo e quarto, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni.
Nel caso in cui la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U., n. 41461 del 19/07/2012).
Quindi non è in dubbio che le dichiarazioni rese dalla persona offesa debbano essere sottoposte ad un vaglio più penetrante di quello ordinario, a maggior ragione se la stessa si sia costituita parte civile, ma ciò non significa che la sua qualifica possa essere assunta ad aprioristico pretesto per un’acritica svalutazione delle medesime e che sia consentito accantonarle senza nemmeno verificarne la tenuta intrinseca ed eventualmente estrinseca alla luce della prova complessivamente acquisita. Considerazioni che valgono a maggior ragione per la testimonianza di colui che alla persona offesa è legato da vincoli di amicizia che potrebbero inquinarne la credibilità, ma che non possono costituire a priori motivo che consenta al giudice di rinunziare alla valutazione del relativo contenuto probatorio.
3.2. Nella specie i giudici di merito, nel rispondere a un motivo di appello analogo a quello proposto in questa sede, hanno dato pieno conto delle ragioni su cui si basa la ritenuta attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto (pag. 4).
La doglianza formulata sul punto dalla ricorrente è generica.
Il ricorso si limita a contestare in astratto l’affidabilità delle dichiarazioni della persona offesa, facendo leva solo sulla veste processuale rivestita, senza riuscire ad indicare elementi concreti idonei ad inficiarne la coerenza del narrato, sì da disarticolare la tenuta logica del percorso motivazionale della sentenza impugnata.
4. Analoghi vizi presentano il terzo e il quarto motivo.
Scoperta dalla S.F., che aveva notato la presenza di stanze a soqquadro, tracce della presenza di persone estranee e consumo di energia elettrica, la G.A. ammise subito di aver concesso l’appartamento a terzi, offrendosi di risarcire la persona offesa (pag. 2 sentenza impugnata).
L’imputata deteneva le chiavi dell’appartamento della S.F. (così come di altri appartamenti del medesimo condominio), ma poteva entrare nella proprietà privata solo in caso di impellente necessità e previo consenso dell’avente diritto (pag. 2).
Alla luce di questi elementi fattuali, con i quali il ricorso non si misura, è evidente che sussistono tutti gli elementi costitutivi del reato di violazione di domicilio, avendo la G.A. consentito a terzi (ignari) di entrare e occupare abusivamente l’appartamento di proprietà della S.F., sul quale l’imputata non aveva alcun potere dispositivo non esercitando neppure una detenzione qualificata, così ponendosi consapevolmente contro la volontà dell’avente diritto.
È irrilevante stabilire se la G.A. fosse o meno entrata nell’appartamento, quel che rileva è che abbia consentito l’ingresso a terzi, così perpetrando la condotta di violazione di domicilio, in detti termini contestata.
La invocata buona fede è smentita dalla proposta risarcitoria avanzata nella immediatezza della scoperta.
5. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000, a favore della Cassa delle ammende.