Se l’amministratore di condominio ha commesso illeciti seriali
A carico del professionista già tre sentenze irrevocabili di condanna per altrettante appropriazioni indebite ai danni di stabili condominiali perpetrate tramite la sottrazione delle quote versate dai residenti. Ecco come si è pronunciata la Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 20291/2019
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto
- che con ordinanza emessa il 11 maggio 2017 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettò la domanda di F.P. per l’applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato quanto ai seguenti delitti, accertati con le tre sentenze irrevocabili di condanna specificamente indicate nell’atto: plurime appropriazioni indebite aggravate commesse, in esecuzione di medesimo disegno criminoso, in Milano fino al 1 febbraio 2002; plurime appropriazioni indebite aggravate commesse, in esecuzione di medesimo disegno criminoso, in Milano dal 10 ottobre 2007 al 23 novembre 2009; plurime appropriazioni indebite aggravate commesse, in esecuzione di medesimo disegno criminoso, in Milano fino al 30 novembre 2012;
- che la motivazione fondante tale decisione è nel senso che: tutti reati vennero commessi dal ricorrente abusando dei suoi incarichi di amministratore di condomini; le appropriazioni indebite vennero commesse in danno di condomini diversi in epoche affatto diverse; il ricorrente sfruttò nel corso del tempo la propria attività professionale onde appropriarsi di danaro ad esso versato dai condòmini per far fronte ai relativi oneri economici, sì che tali appropriazioni esprimono “una generale propensione alla devianza che si è concretizzata in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali”;
- che per la cassazione di tale ordinanza F.P. ha proposto ricorso (atto personalmente sottoscritto) deducendo che l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui esso ricorrente commise numerosi “illeciti seriali” è priva di motivazione per le ragioni specificamente illustrate nel ricorso;
- che il ricorso è inammissibile in quanto, lungi dal contenere specifica critica alla motivazione fondante la decisione di non sussistenza dei presupposti di applicabilità della disciplina di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. quanto ai delitti accertati con le sentenze, passate in cosa giudicata, menzionate nel ricorso, si sostanzia nell’affermazione della propria estraneità alla commissione dei reati medesimi, preclusa dalla formazione dei diversi giudicati: l’atto non contiene dunque alcun motivo di censura al contenuto dell’ordinanza impugnata, con conseguente violazione della regola contenuta nell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen.;
- che dalla inammissibilità del ricorso derivano la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammende che stimasi equo determinare nella misura di duemila euro (art. 616 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle ammende.