Che abbia violato o meno la normativa vigente in materia di trattamento dei dati personali, l’amministratore di condominio è comunque tenuto a rispondere al Garante della Privacy che gli chieda conto in merito ad una segnalazione giunta da un condomino. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 15332 del 12 giugno 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 12.6.2018,
n. 15332
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L.V., quale amministratore pro tempore del condominio …, ebbe a proporre opposizione avverso ordinanza ingiunzione, emessa nei suoi riguardi al Garante per la protezione dei dati personali portante sanzione di euro 4.000 in relazione all’illecito ex artt. 157 e 164 d. lgs. 196/03.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ebbe ad accogliere l’opposizione sull’osservazione che dall’oggettiva condotta omissiva, tenuta dal L.V. a fronte di rituale richiesta di informazioni da parte del Garante, non era scaturita alcuna conseguenza sul procedimento d’accertamento circa la fondatezza o non della segnalazione inviata al Garante da persona abitante nel condominio amministrato dal L.V..
Il Garante per la protezione dei dati personali ha proposto ricorso per cassazione fondato su unico motivo.
Il L.V. s’è costituito ritualmente a resistere con contro ricorso.
Il P.G., nella persona del dott. M., ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso proposto dal Garante impugnante s’appalesa fondato e va accolto.
(omissis)
Con l’unico mezzo d’impugnazione l’Ente pubblico ricorrente denunzia violazione del disposto ex art 157 e 164 d. lgs. 196/2003, posto che non risulta alcuna correlazione, positivamente prevista, tra la condotta di non collaborazione, a fronte di rituale richiesta di informazioni, e la accertata sussistenza di una condotta rilevante ai fini della denunziata violazione del diritto alla riservatezza, sicché la sanzione andava applicata a prescindere dall’esito del procedimento aperto a seguito della segnalazione fatta, al cui esame era correlata la richiesta di informazioni inevasa.
La censura mossa dal Garante coglie nel segno.
Difatti il tenore letterale delle norme rilevanti nella fattispecie concreta – artt. 157 e 164 d. lgs. 196/03 – non pone in evidenza alcuna correlazione tra l’omessa risposta alla richiesta di informazioni e l’esito del procedimento, nel cui ambito fu effettuata la richiesta, siccome ritenuto dal Giudice capuano.
La disposizione di legge ha l’evidente ed esclusiva finalità di consentire al Garante di acquisire il più rapidamente possibile informazioni utili alla salvaguardia del diritto alla riservatezza del privato autore della segnalazione di opinata violazione, poiché punisce espressamente la sola condotta omissiva a fronte di specifica richiesta del Garante.
Nella specie lo stesso primo Giudice mette in rilievo come il L.V. non abbia dato risposta alla richiesta del Garante, la cui nota operava espresso richiamo alle disposizioni di legge violate, e nemmeno abbia chiarito i motivi di detta sua condotta in sede di opposizione.
Quindi erra il Giudice di prime cure ad individuare la necessità di un collegamento tra la condotta omissiva e la sussistenza della violazione segnalata, poiché requisito non previsto dalla legge.
Tale conclusione non appare sospetta di illegittimità costituzionale, come adombrato dal Tribunale, posto che l’obbligo di collaborazione con Soggetti pubblici deputati all’accertamento di illeciti amministrativi è previsto in vari settori dell’Ordinamento e di certo l’ammontare della sanzione, non per ciò, fa sorgere dubbio di legittimità costituzionale lumeggiando solamente l’interesse del Legislatore a stimolare collaborazione per il celere intervento dell’Organo pubblico preposto alla tutela dei diritti personali di eminente rilievo costituzionale – Cass. sez. 1 n. 13488/05, Cass. sez. 2 n. 21272/14 -.
Posto che la condotta materiale risulta accertata dal primo Giudice e che l’unica questione da risolvere risulta essere la corretta interpretazione della norma sanzionatoria, alla cassazione della sentenza impugnata può seguire decisione nel merito da parte di questa Corte.
Quindi il ricorso in opposizione, spiegato dal L.V. avanti il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, va rigettato e lo stesso condannato a rifondere al Garante le spese di lite e per il giudizio di prime cure, liquidate in euro 1.800, e per questo giudizio di legittimità, tassate in euro 1.000, oltre in ambedue i casi le spese prenotate a debito.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,provvedendo nel merito, rigetta l’opposizione spiegata dal resistente e condanna L.V. alla rifusione delle spese di lite per il giudizio avanti il Tribunale, che liquida in euro 1.080, ed in euro 1.000 quelle afferenti questo giudizio di legittimità, oltre in entrambi i casi le spese prenotate a debito.