Mancato pagamento di oneri fiscali e contributi previdenziali, malgrado le somme ricevute dai condòmini. Questo il “peccato originale” che è costato a un amministratore di condominio la condanna per appropriazione indebita. Ecco una sintesi della vicenda e un estratto della sentenza 27822/2019 della Corte di Cassazione
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 27822/2019
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1. La Corte di Appello di Napoli, in data 4.7.2017, ha confermato la sentenza con cui, il 13.5.2016, il Tribunale partenopeo aveva riconosciuto U.F. responsabile del delitto di appropriazione indebita aggravata e continuata con riferimento a somme da lui ritenute quale amministratore del condominio di via … e, pertanto, limitando la condanna ai fatti intervenuti a partire dal 17.6.2009 (essendo i precedenti ormai coperti da prescrizione), lo aveva condannato alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 800 di multa oltre al pagamento delle spese processuali nonché, infine, al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile rimettendone la liquidazione in altra sede.
2. Ricorre per Cassazione, tramite il difensore, U.F. lamentando violazione di legge per erronea applicazione della normativa fiscale con particolare riferimento al “ravvedimento operoso”: rileva che la Corte di Appello ha omesso di motivare sulla doglianza difensiva con cui era stato segnalato che il dibattimento non aveva offerto alcuna certezza circa l’origine e la causale della cartella esattoriale recapitata al condominio e sulla cui emissione i giudici di merito avevano fondato la condanna; in particolare, osserva che con l’atto di appello aveva segnalato come non fosse chiaro se l’importo portato dalla cartella fosse relativo ad un mancato pagamento ovvero a sanzioni ed interessi per pagamenti eseguiti in ritardo; osserva che la Corte ha omesso di confrontarsi con tale rilievo così viziando la sentenza di secondo grado per difetto di motivazione e violazione di legge;
3. In data 5.3.2019, il Condominio di via …, ha depositato delle note di udienza insistendo per la inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato.
Il ricorso è inammissibile.
1. La vicenda era stata ricostruita dal Tribunale sulla scorta delle dichiarazioni dell’amministratore di condominio subentrato al U.F. e costituitosi parte civile nel processo corroborate, comunque, da una serie di riscontri documentali.
Era infatti emerso che i condòmini di via …, dopo aver ricevuto dalla Agenzia delle Entrate alcune cartelle ed avvisi di pagamento relativi a pendenze di cui il U.F., amministratore del condominio da dieci anni, non aveva mai fatto cenno, lo avevano revocato dall’incarico nominando un nuovo amministratore; a séguito degli accertamenti e delle verifiche eseguiti dopo notifica di una ulteriore cartella di pagamento emessa da Equitalia, si era appreso del mancato pagamento di contributi previdenziali relativi al rapporto di lavoro subordinato intercorso con il portiere del condominio come, anche, delle relative ritenute d’acconto sulle retribuzioni del predetto oltre che sulle fatture emesse dai fornitori.
Era seguita la notifica di ulteriori cartelle e di avvisi di pagamento per mancato versamento della tassa di occupazione del suolo pubblico in occasione dei lavori di ristrutturazione dello stabile.
Il teste aveva riferito quindi di un piano di “rientro” concordato con Equitalia per la corresponsione degli importi reclamati mentre il U.F. non gli aveva consegnato alcun fondo cassa né tantomeno dato conto dell’accantonamento per il TFR del dipendente.
Una volta approvato il piano di “ammortamento” con Equitalia, era stato contattato il U.F. per addivenire ad una composizione bonaria e l’imputato, che si era dichiarato disponibile ad accollarsi il debito per contributi non versati, aveva consegnato un assegno di euro 742 a titolo di pagamento delle rate dei mesi di agosto e settembre.
Di qui (cfr., in particolare, pag. 7 della sentenza di primo grado) la affermazione, da parte del primo giudice, della penale responsabilità del U.F. che aveva anche ammesso la propria responsabilità essendo emerso con certezza il mancato versamento dei contributi mensili (e non già, come opinato dalla difesa, il ritardo nel pagamento).
A fronte di questa ricostruzione, l’appello proposto dalla difesa del U.F. era del tutto generico per non dire “eccentrico” rispetto al contenuto del provvedimento impugnato avendo la difesa insistito sulla disciplina del “ravvedimento operoso” vigente nell’ambito fiscale senza, tuttavia, confrontarsi con la sentenza della Corte di Appello che aveva espressamente qualificato i mancati pagamenti in termini di (francamente) “omesso” pagamento e, dunque, di appropriazione indebita delle somme versate dai condòmini e ritenute dall’amministratore.
(omissis)
2. Non v’è dubbio, peraltro, che la condotta dell’amministratore il quale abbia trattenuto somme di cui aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio e con destinazione “vincolata” ai pagamenti nell’interesse del condominio, integri il delitto di appropriazione indebita.
Ed infatti, con affermazione risalente nel tempo ma ancora valida stante l’immutabilità del quadro normativo di riferimento, questa Corte ha affermato che la specifica indicazione del “denaro” (a fianco di quella, in forma alternativa, di “cosa mobile”), contenuta nell’art. 646 cod. pen., consente di ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare incertezze e di reprimere gli abusi e le violazioni del possesso del danaro, ha inteso chiaramente precisare che anche il denaro può costituire oggetto del reato di appropriazione indebita, atteso che anche il denaro, nonostante la sua “ontologica” fungibilità, può essere oggetto di trasferimento relativamente al mero possesso, senza che al trasferimento del possesso si accompagni anche quello della proprietà.
Ciò di norma si verifica, oltre che nei casi in cui sussista o si instauri un rapporto di deposito o un obbligo di custodia, nei casi di consegna del danaro con espressa limitazione del suo uso o con un preciso incarico di dare allo stesso una specifica destinazione o di impiegarlo per un determinato uso: in tutti questi casi il possesso del danaro non conferisce il potere di compiere atti di disposizione non autorizzati o, comunque, incompatibili con il diritto poziore del proprietario e, ove ciò avvenga si commette il delitto di appropriazione indebita (omissis).
3. L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma di Euro 2.000 alla Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
Il U.F. va infine condannato alla rifusione delle spese di assistenza della costituita parte civile nel grado, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Condominio di via …, che liquida in complessivi Euro 3.510 oltre spese generali al 15%, Cpa e Iva.