Sottrae denaro al condominio senza provare che si tratti, come da lui sostenuto, di un rimborso spese per la sua attività di amministratore. Per questa ragione la Cassazione conferma a carico del professionista la condanna per appropriazione indebita. Di seguito un estratto delle sentenza 39337/2019.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 39337/2019
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1. Con sentenza del 28/07/2017 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Firenze in data 09/09/2015 in forza della quale Z.P. era stato riconosciuto responsabile del reato di appropriazione indebita di somme di pertinenza del condominio da lui amministrato, con condanna alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno in favore della parte civile.
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, lamentando la manifesta illogicità della motivazione atteso che la corte territoriale non aveva considerato che difettava nella fattispecie in esame la prova della appropriazione della somma di denaro in contestazione in assenza di una interversione del possesso, in quanto egli aveva semplicemente incamerato le somme dovute quale pagamento del compenso e del rimborso spese per la sua attività di amministratore condominiale, giusta notula allegata in atti sicché la questione, in ogni caso, riguardava aspetti di tipo civilistico.
2.1. Rileva, ancora, che il reato doveva ritenersi prescritto alla data 20 Maggio 2017 essendosi consumato al momento della dismissione della carica di amministratore per effetto della delibera condominiale del 20 settembre 2009, comunque, nelle more della scadenza del termine di impugnazione della sentenza di appello.
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è generico, aspecifico e, comunque, manifestamente infondato.
Invero la corte territoriale ha correttamente confermato l’affermazione della penale responsabilità del ricorrente – appropriatosi indebitamente di somme pertinenza del condominio da lui amministrato sito in … – valutati tutti gli elementi emersi nel corso del processo ed, in particolare, ritenendo non comprovata l’affermazione dello Z.P. secondo cui egli si sarebbe limitato ad incamerare somme a lui spettanti quale compenso per l’ attività svolta, credito di cui non è emersa prova alcuna, risultando, quindi, pienamente integrata la fattispecie di cui all’art. 646 cod. pen..
Si tratta, quindi, di motivazione congrua, adeguata e del tutto coerente con gli evidenziati elementi fattuali, sicché la censura, da considerare una mera riproposizione della medesima tesi difensiva disattesa in entrambi i giudizi di merito, dev’essere ritenuta inammissibile in quanto surrettiziamente tesa ad ottenere una nuova rivalutazione del merito.
3. Il secondo motivo relativo alla asserita maturata prescrizione è anch’esso privo di fondamento alcuno.
Osserva il collegio che la censura proposta è manifestamente infondata in quanto il ricorrente, del tutto genericamente, assume che il reato sarebbe stato consumato in epoca antecedente rispetto alla data di commissione indicata nel capo di imputazione nel giorno 1 Dicembre 2010 ed accertata in seno alle sentenze di merito, senza tuttavia comprovare tale diversa data di consumazione e sollecitando, quindi, una diversa ricostruzione fattuale non consentita in questa sede.
3.1. Va, pertanto, rilevato che tenuto conto del termine ordinario derivante dal combinato disposto degli artt. 157 e 160 cod. pen. pari ad anni sette e mesi sei e del tempus commissi delicti (il reato risulta, come detto, consumato all’01/12/2010), alla data della decisione della corte territoriale del 28 Luglio 2017 la prescrizione del reato non era ancora intervenuta.
3.2. Occorre, infine, rammentare il noto principio – ormai consolidatosi – per cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’ art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso). (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000).
4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro duemila.
(omissis)
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione in favore della parte civile Condominio …, in persona dell’amministratore pro tempore, delle spese del grado che liquida in euro 3.015 oltre spese forfetarie nella misura del 15%, c.p.a. e i.v.a. se dovuta.