Un amministratore incassa su un conto personale le quote versate dai condòmini, malgrado esista un conto condominiale. La Cassazione conferma la condanna per appropriazione indebita, puntualizzando che soltanto documenti ex se idonei a fornire la prova di qualunque pagamento, con l’allegazione delle necessarie “pezze” giustificative, avrebbero potuto ritenersi rilevanti nella difesa del professionista. Di seguito un estratto della sentenza 33780/2018.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 33780/2018
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1. Ha proposto ricorso per cassazione R.F. avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 24 gennaio 2017, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Cosenza il 18 luglio 2014, per il reato di appropriazione indebita aggravata.
Secondo l’accusa, il ricorrente, all’epoca dei fatti socio accomandatario della G., che gestiva amministrazioni condominiali, si era appropriato della somma di euro 8.095,40 versatagli dai condòmini dello stabile …, mai depositata sul conto corrente del condominio e mai restituita nonostante la formale diffida degli interessati.
2. Deduce la difesa, con un unico motivo, la violazione degli artt. 237 e 178 cod. proc. pen. in relazione al rigetto, da parte dei giudici di appello, della richiesta di produzione di alcuni documenti e di una correlata memoria difensiva già disattesa dal giudice di primo grado, ciò che avrebbe impedito al ricorrente di esercitare il proprio diritto di difesa.
Il ricorso è inammissibile per totale genericità.
1. Non è dato, infatti, sapere, alla stregua delle vaghe indicazioni contenute in ricorso, quali documenti intendesse produrre il ricorrente a sostegno della tesi difensiva dell’esatto adempimento delle sue obbligazioni nei confronti del condominio amministrato.
1.1. Va, peraltro, osservato, che soltanto documenti ex se idonei a fornire la prova di qualunque pagamento, con l’allegazione delle necessarie “pezze” giustificative, avrebbero potuto ritenersi rilevanti, tanto più in presenza del dirottamento, da parte del ricorrente, significativamente sottolineato dai giudici territoriali (in particolare con la sentenza di primo grado), delle quote condominiali incassate, su un conto corrente personale, nonostante l’esistenza di un conto corrente intestato al condominio.
2. Analogamente, non è dato sapere quali argomentazioni contenesse la memoria illustrativa cui si accenna in ricorso, che non siano state considerate nelle motivazioni delle sentenze di merito, indipendentemente dal formale riferimento all’atto difensivo.
3. Va soltanto aggiunto che risulta agli atti che per i fatti contestati al ricorrente fu proposta querela, della quale la difesa non ha in alcun modo contestato la validità con i motivi di ricorso, talché non si pone, nella specie, un problema di applicabilità delle disposizioni transitorie dettate dall’art. 12 D. lvo 10 aprile 2018 n. 36 in relazione ai reati per i quali è stato modificato, con lo stesso decreto, il regime di procedibilità di numerosi reati, tra i quali anche quello previsto dall’art. 646 cod. pen.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro a favore della cassa delle ammende.