Il Tribunale di sorveglianza nega l’affidamento in prova ai servizi sociali ad un amministratore di condominio che si era indebitamente appropriato di somme superiori a un milione di euro. Ma la Cassazione giudica tale provvedimento troppo severo, in quanto a giudizio degli Ermellini non si può prendere in considerazione il solo diniego da parte del condannato a restituire ai condòmini parte del maltolto, ma vanno valutati anche gli aspetti positivi della sua condotta. Di seguito un estratto della sentenza 43853/2019 di Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I pen., sent. n. 43853/2019
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1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto la richiesta presentata da M.D. di affidamento in prova al servizio sociale. A ragione della decisione osservava che il condannato – riconosciuto colpevole di reati di appropriazione indebita commessi attraverso ripetute distrazioni di ingenti somme di denaro di pertinenza dei condomini di cui era amministratore in favore di persone giuridiche a lui stesso riconducibili – dopo la consumazione delle condotte delittuose, pur osservando le prescrizioni imposte con il regime di detenzione domiciliare, non aveva provveduto a risarcire le parti civili restituendo almeno una parte del maltolto di ammontare complessivo superiore ad un milione di euro.
Secondo i giudici milanesi detta condotta, insieme con il comportamento tenuto nel processo di cognizione concretizzatosi in un modesto apporto confessorio, costituiva indice di non raggiunta revisione critica rispetto non solo al reato ma anche agli ingenti danni causati con la condotta illecita. Il M.D., inoltre, non si era nemmeno trovato in una situazione di oggettiva impossibilità di procedere alle restituzioni, quanto meno rateali, della somma di cui si era indebitamente appropriato, non solo perché prima del processo penale aveva restituito ad uno dei condòmini danneggiati la somma di euro 70.000, ma anche perché aveva continuato a svolgere attività lavorativa fino all’attualità.
2. Avverso l’ordinanza M.D., per il tramite del difensore di fiducia avv. …, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo promiscuo per violazione di legge e difetto di motivazione.
Il Tribunale di sorveglianza, discostandosi dai principi giuridici in tema di affidamento in prova ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, nel formulare il giudizio negativo sull’esistenza dei presupposti per l’ammissione alla misura alternativa, avrebbe, in primo luogo, trascurato tutti gli elementi a favore del ricorrente ed in particolare: la sua incensuratezza, l’assenza di carichi pendenti, il reinserimento nel mondo del lavoro, l’ammissione di responsabilità operata nel giudizio di merito, il comportamento positivo tenuto durante la reclusione e durante la detenzione domiciliare. Di contro, avrebbe attributo rilevanza esclusiva al mancato risarcimento del danno in favore delle parti civili senza tuttavia considerare che il condannato, in età avanzata ed in precarie condizioni di salute, non solo nel giudizio di cognizione aveva subito la confisca irrevocabile di alcuni beni destinati a copertura, almeno parziale, degli ammanchi lamentati dai querelanti ed aveva restituito la somma di euro 70.000, ma negli ultimi anni aveva svolto attività lavorativa in maniera saltuaria e con i limiti imposti prima dalla detenzione carceraria e poi da quella domiciliare.
1. Il ricorso è fondato, sia pure nei limiti e con le precisazioni di seguito esposte.
2. In tema di affidamento in prova al servizio sociale, poiché il giudizio prognostico richiesto dalla legge va essenzialmente ancorato ai risultati dell’osservazione del comportamento del condannato, il tribunale di sorveglianza non può respingere la richiesta di applicazione della suddetta misura alternativa deducendo l’assenza di segni di ravvedimento unicamente ed in modo automatico dal mancato risarcimento, anche solo parziale, del danno e dall’atteggiamento consapevole e deliberato tenuto dal richiedente nella commissione dei reati per i quali è intervenuta condanna (omissis). La non decisività del risarcimento del danno arrecato col reato a costituire, da solo, elemento idoneo a fondare una prognosi negativa in funzione del negato accesso ai benefici penitenziari, pur consentiti dal titolo del reato e dall’entità della pena da espiare, trova ulteriore conferma nella consolidata giurisprudenza a termini della quale l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria non solo non costituisce requisito per l’ammissione al beneficio, ma neppure è condizione necessaria per valutarne, ex post, l’esito positivo. In particolare, la previsione secondo cui l’obbligazione risarcitoria può essere imposta “in quanto compatibile”, ne determina implicitamente la necessaria correlazione con le concrete condizioni economiche del condannato, escludendo la legittimità dell’incondizionato obbligo di risarcimento del danno (omissis).
Ritiene, pertanto, il Collegio che la ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima dei danni arrecati possa essere considerata tra gli elementi di segno negativo valutabili e valorizzabili dal Tribunale per il diniego della misura, ma solo nell’ottica di una valutazione complessiva sulla rieducabilità che prenda criticamente in considerazione anche ulteriori aspetti della condotta successiva al reato del richiedente la misura (omissis).
3. Nel caso di specie, il giudice di merito, si è limitato a riscontrare la mancanza del risarcimento del danno, sia pure parziale stante la restituzione della somma di euro 70.000, senza spiegare le ragioni per cui detta sola circostanza abbia suffragato lo scrutinio negativo pur in presenza di una pluralità di elementi, successivi alla condotta illecita, favorevoli ad un giudizio prognostico di buon esito della prova, quali: lo svolgimento da parte dell’interessato di attività lavorativa con il conseguimento di reddito da lavoro, l’assenza di procedimenti penali e carichi pendenti successivi ai fatti per cui è stata emessa la condanna da eseguire, nonché la puntuale osservanza delle prescrizioni imposte con il provvedimento di concessione della detenzione domiciliare. Nel valorizzare l’omesso risarcimento dell’ingente danno arrecato col reato, il Tribunale di sorveglianza non ha nemmeno tenuto conto delle attuali condizioni economiche del condannato, ignorando sia la circostanza che lo stesso, come documentato dalla difesa, avesse subito in sede di cognizione la confisca irrevocabile di numerosi beni immobili sia la circostanza che avesse svolto, dopo la consumazione dei reati oggetto della condanna posta in esecuzione, attività lavorativa non particolarmente redditizia stante i limiti imposti dal regime di detenzione domiciliare (il M.D., dopo la detenzione carceraria, aveva beneficiato di autorizzazione per attività lavorativa dapprima a date fisse e non in maniera permanente e, in seguito, solo per tre pomeriggi a settimana).
Conclusivamente, il Tribunale è incorso in un duplice errore: quello di affidare alla mancata effettuazione dell’attività risarcitoria valore dirimente ai fini della negata ammissione al beneficio, assumendo tale comportamento come sintomatico, di per sé, di assenza di revisione critica; e quello di interpretare l’evoluzione positiva della personalità del condannato come requisito per l’ammissione ai benefici penitenziari e non piuttosto, come postulato dalla disciplina in tema di misure alternative alla detenzione di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, quale fine cui deve tendere l’esecuzione della pena anche attraverso le modalità alternative al carcere per essa previste, in coerenza col principio costituzionale sancito dall’art. 27 Cost., terzo comma. Ne è derivata una motivazione incompleta e carente che muove da una ricognizione parziale e non coordinata degli elementi da apprezzare nella ponderazione delle modalità esecutive più funzionali allo scopo rieducativo, in relazione al comportamento complessivo del condannato in libertà, dopo la commissione del reato, a norma dell’art. 47, comma 3, ord. pen..
4. Il provvedimento impugnato deve essere, pertanto, annullato e gli atti rinviati per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Milano, che si uniformerà a quanto stabilito nella presente sentenza in tema di completezza motivazionale.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Milano.