Una deliberazione, adottata a maggioranza, di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., seppur limitata alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, va ritenuta nulla per impossibilità dell’oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condòmini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell’assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l’accordo unanime di tutti i condòmini, quale espressione della loro autonomia negoziale.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza 29220 del 13 novembre 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 13.11.2018,
n. 29220
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L’avvocato D.D., condomina del Condominio di …, ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 629/2017 del 18 maggio 2017 giugno 2016, che ha accolto l’appello avanzato dal Condominio … contro la sentenza resa in primo grado il 22 settembre 2008 dal Tribunale di Chiavari.
Il Condominio … resiste con controricorso.
D.D. aveva impugnato le deliberazioni assembleari del 18 febbraio 2004 e del 13 luglio 2004 approvate dal Condominio …, le quali avevano deciso a maggioranza che la pulizia della scala comune dell’edificio sarebbe stata compiuta personalmente a turno dai singoli condòmini, ovvero, in alternativa, da terzi incaricati e pagati di volta in volta da ciascun partecipante sulla base di un calendario di interventi da programmare. L’attrice sosteneva la nullità di tali delibere perché ponevano a carico dei condòmini un obbligo personale di fare la pulizia, ovvero di commetterlo ad un terzo a proprie spese. Il primo giudice sostenne la nullità delle delibere impugnate, atteso che esse avrebbero modificato a maggioranza il criterio di ripartizione per millesimi delle parti comuni stabilito nell’art. 21 del regolamento condominiale. La Corte d’Appello ritenne invece valide le deliberazioni per cui è causa, attenendo esse alle modalità di esecuzione delle spese di pulizia delle scale.
Il primo motivo di ricorso di D.D. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 Cost., degli artt. 1136 e 1138 c.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non aver considerato la sentenza impugnata che le delibere del 18 febbraio 2004 e del 13 luglio 2004 impongono ai condòmini una illegittima prestazione di fare.
(omissis)
Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1135 c.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, allegando come la ricorrente sia proprietaria esclusiva di “un minuscolo bilocale”, sicché solo in tale misura debba partecipare alle spese di pulizia delle parti comuni.
(omissis)
Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123, 1135, 1136, 1138, 1421 c.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, stante la nullità della modifica a maggioranza dei criteri di ripartizione della pulizia delle parti comuni.
(omissis)
Risultano fondati, nei limiti di seguito specificati, il primo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, rimanendo assorbiti dall’accoglimento di tali censure il secondo ed il quarto motivo.
(omissis)
Tuttavia, deve ribadirsi che una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., seppur limitata alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, va ritenuta nulla per impossibilità dell’oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condòmini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell’assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l’accordo unanime di tutti i condòmini, quale espressione della loro autonomia negoziale (omissis).
Si ha riguardo, nella specie, a delibere assembleari che, essendo stato revocato l’appalto affidato dal condominio a terzi per la pulizia delle scale, hanno stabilito che tale incombenza spetti a turno ai singoli partecipanti, i quali, ove non intendano sobbarcarsi personalmente l’opera, possono farsi sostituire da terzi sopportandone i costi.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale più recente, la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica, in parte qua, dell’art. 1124 c.c., il quale è espressione del principio generale posto dall’art. 1123, comma 2, c.c., e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi (Cass. Sez. 2, 12/01/2007, n. 432).
Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello inerente alle spese di pulizia e di illuminazione delle scale può essere derogato mediante convenzione modificatrice della disciplina codicistica contenuta o nel regolamento condominiale “di natura contrattuale”, o in una deliberazione dell’assemblea approvata all’unanimità da tutti i condòmini (omissis).
È in ogni caso necessario, perché sia giustificata l’applicazione di un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello legale, commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, che la deroga convenzionale sia prevista espressamente (Cass. Sez. 2, 29/01/2000, n. 1033).
La «diversa convenzione» ex art. 1123 c.c. può, peraltro, essere adottata anche in funzione non “normativa”, e cioè non per sostituire statutariamente il titolo negoziale a quello legale o regolamentare nella relativa disciplina, bensì con riguardo al riparto di una singola spesa o di una specifica gestione.
Tuttavia, poiché pure in tal caso la convenzione viene ad incidere sulla misura degli obblighi dei singoli partecipanti al condominio, essa non può essere rimessa all’espressione della regola collegiale sintetizzata dal principio di maggioranza, ma deve comunque fondarsi su una deliberazione unanime, non limitata ai presenti all’assemblea (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588). Come già considerato, il dovere dei condòmini di contribuire alle spese in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare o all’utilità che traggano del bene o dal servizio comune trova la sua fonte nel diritto dominicale di condominio, e perciò non può rientrare nelle attribuzioni dell’assemblea una potestà di deroga ai criteri legali di cui agli art. 1123 e ss. c.c..
A tali principi non si è uniformata l’impugnata sentenza, avendo essa incomprensibilmente ritenuto le delibere impugnate concernenti “le modalità di esecuzione delle spese di pulizia delle scale”, ovvero attinenti “all’organizzazione ed al funzionamento delle cose comuni”. Le delibere impugnate non rivelano, invece, una portata meramente organizzativa, concernente soltanto le modalità d’uso delle cose comuni, o la gestione ed il funzionamento dei servizi condominiali, materie certamente rientranti nelle competenze collegiali.
Va conclusivamente affermato che il diritto-dovere di ciascun condomino, ex art. 1118 c.c., di provvedere alla manutenzione delle cose comuni comporta certamente non solo l’obbligo di sostenere le spese, ma anche tutti gli obblighi di facere e di pati connessi alle modalità esecutive dell’attività manutentiva, rimanendo tuttavia affetta da nullità la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condòmini espresso in apposita convenzione, si modifichino a maggioranza i criteri legali o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune (quale quello di pulizia delle scale), venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso l’imposizione, come nelle specie, di un obbligo di facere, ovvero di un comportamento personale, spettante in egual misura a ciascun partecipante e tale da esaurire il contenuto dell’obbligo di contribuzione.
La sentenza impugnata va perciò cassata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova, che riesaminerà la causa uniformandosi ai principi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova, anche per le spese del giudizio di cassazione.