Se i lavori condominiali prevedono una spesa superiore a quella deliberata
Rispetto al preventivo approvato dall’assemblea, l’importo dei lavori condominiali lievita, e la nuova delibera che ripartisce l’entità maggiorata dei tributi, viene impugnata da alcuni condòmini. Ne nasce una vicenda controversa dal punto di vista giuridico, che la Cassazione risolve con l’ordinanza 27912/2017, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 23.11.2017,
n. 27912
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- Ritenuto che la Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 25/3/2014, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città del 29/4/2011, accolto l’appello di G.S., M.S. e G.S., annullò la deliberazione dell’assemblea del Condominio di via …, presa il 20/10/2008;
- ritenuto che la delibera in parola, con la quale dovevasi provvedere a ripartire tra i condòmini, siccome previsto dall’ordine del giorno, la spesa occorrente per taluni lavori interessanti le strutture condominiali, deliberati nel 2005, e che aveva notevolmente aumentato la previsione di spesa, era stata opposta dagli S., non partecipanti all’assemblea, secondo i quali la decisione avrebbe dovuto limitarsi a suddividere secondo tabelle l’importo deliberato nel 2005;
- che il Tribunale aveva assegnato all’opposizione carattere di genericità, stante che la doglianza rimarcava lo «aumento inspiegabile», con la conseguenza che non era possibile comprendere se i ricorrenti avessero inteso «allegare il mancato rispetto, ovvero eventuali violazioni dei criteri di riparto ovvero ancora assenza di giustificazione delle maggiori spese e, quindi, eventuale eccesso di potere della maggioranza assembleare»;
- che la Corte locale, andando di contrario avviso, assume che l’atto di citazione «contiene sul punto una critica specifica e di non difficile interpretazione: la spesa ripartita non è quella in allora approvata ma altra di entità maggiore», dovendosi, quindi «valutare se l’aumento della spesa sia effettivo e, in caso di riscontro positivo, se l’assemblea avesse la facoltà di deliberarlo»;
- che avverso quest’ultima sentenza propone ricorso per cassazione, seguìto dal deposito di memoria, il Condominio di via …, illustrando duplice censura e che gli S. resistono con controricorso;
- considerato il primo motivo, con il quale il ricorrente prospetta violazione degli artt. 1136, co. 4,1137, cod. civ., 112 e 345, cod. proc. civ., è fondato, in quanto la discordanza tra quanto posto all’ordine del giorno e quanto deliberato non aveva formato oggetto di doglianza di sorta (l’appello era stato imperniato sulla tesi dell’illegittimità della seconda delibera poiché in contrasto con la prima) e nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado gli S. si erano limitati a denunziare l’aumento non giustificato della spesa, dovendosi osservare:
a) l’opposizione alla deliberazione condominiale si inserisce in quella categoria di impugnazioni attraverso le quali si contesta la legittimità di un atto deliberativo, che si assume affetto da specifici vizi, che il ricorrente ha l’onere di puntualmente individuare, dovendosi, per contro, nel caso di specie, rilevare che il vizio rilevato dalla Corte locale, attenente alla discrasia tra ordine del giorno e deliberato, non era stato sottoposto al vaglio del giudice, chiamato esclusivamente a verificare la legittimità della delibera per avere aumentato l’entità della spesa, essendo rimasta così violata la regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;
b) con il controricorso, ancora oggi, si insiste nell’affermare che «la difformità tra quanto deliberato e quanto indicato nell’ordine del giorno» costituiva la ragione dell’invalidità protestata (pag. 10 e sviluppo seguente), ma una simile puntuale critica non si rinviene negli atti processuali (scrutinabili in questa sede per la natura in rito della questione), emergendo, piuttosto, che i condòmini dissenzienti si dolevano non già della deliberazione non totalitaria presa su questioni non poste all’o.d g. (nella specie l’aumento del costo dell’intervento), ma, nel merito, dell’aumento stesso dei costi, giudicato ingiustificato, rispetto alla delibera del 2005;
c) né vale a salvare la sentenza d’appello la circostanza che la determinazione potesse ritenersi irragionevolmente contraria alla prima: trattandosi di atti deliberativi di pari forza, senza che occorra giustificazione di sorta (salvo l’insorgere d’evidenza di eccesso di potere), il secondo provvedimento può revocare, derogare o modificare il primo;
- considerato che il secondo motivo, con il quale si assume la violazione dell’art. 342, cod. proc. civ., per pretesa genericità dell’appello, resta assorbito;
- considerato che, cassata la sentenza impugnata, non occorre disporre rinvio, stante che questa Corte è in condizione di decidere nel merito sulla base di quanto scrutinato, rigettando la domanda degli S.;
- considerato che le spese legali (di merito e di cassazione) debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate;
P.Q.M.
Accolto il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda e condanna i resistenti, in solido, al pagamento delle spese legali dei giudizi di merito e di legittimità, che si liquidano, per il primo grado, in euro 1.000 per onorari, in euro 700 per diritti e in euro 300 per spese, per il secondo grado, in euro 1.400 per compensi e in euro 300 per spese e per il giudizio di legittimità, in euro1.500 per compensi e in euro 200 per spese.