Lavori di ristrutturazione. Un condomino teme che i ladri approfittino delle impalcature per introdursi nel suo appartamento. Fa, quindi, installare delle sbarre alle finestre e chiede il risarcimento della spesa sostenuta al committente dei lavori. La Cassazione, con l’ordinanza 15588 del 14 giugno 2018, di cui riportiamo un estratto, precisa che “non può essere causa di un danno ingiusto, il comportamento di chi agisce nell’esercizio di un proprio diritto, ancorché tale suo comportamento legittimo cagioni a terzi un pregiudizio, con la lesione di un loro interesse”.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 14.6.2018,
n. 15588
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1. La Corte d’Appello di Roma con sentenza 16.9.2016, accogliendo parzialmente il gravame proposto da I.C. contro la decisione di primo grado (sentenza 25011/2011 del Tribunale di Roma) ha condannato l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, unitamente alla E. srl, al pagamento della somma di euro 8.141,80 per i danni provocati all’appartamento dell’appellante in occasione dei lavori di ristrutturazione eseguiti dalla predetta società nel complesso immobiliare denominato … di proprietà dell’Ateneo (macchie di infiltrazioni e aumentato rischio di intrusione per effetto della modifica dei volumi).
2. Contro tale decisione l’Università degli Studi di Roma La Sapienza ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi.
Le altre parti non hanno svolto difese in questa sede.
Il relatore ha formulato proposta di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza.
1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione alla statuizione di condanna dell’Università al rimborso delle spese necessarie all’installazione delle inferriate di sicurezza: ad avviso della ricorrente, l’accertata inesistenza di irregolarità nell’esecuzione dei lavori non legittimava il proprietario ad ottenere il rimborso delle spese di installazione delle inferriate mancando appunto l’ingiustizia del danno.
Il motivo è manifestamente fondato.
La tutela risarcitoria presuppone l’ingiustizia del danno, come si desume chiaramente dalla formulazione dell’art. 2043 c.c. (applicato dalla Corte d’Appello: v. pag. 6), a norma del quale “qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Insomma, come da lungo tempo affermato in giurisprudenza, per aversi un fatto illecito, fonte di responsabilità extracontrattuale se commesso con dolo o colpa, si richiede un comportamento contrastante con il principio generale che impone ai singoli, nello svolgimento delle loro attività, di non cagionare ad altri un danno “ingiusto”.
Il danno, per essere “ingiusto” deve essere cagionato da un comportamento vietato dal diritto obbiettivo: non può essere tale, e non può, quindi, essere causa di un danno ingiusto, il comportamento di chi agisce nell’esercizio di un proprio diritto, ancorché tale suo comportamento legittimo cagioni a terzi un pregiudizio, con la lesione di un loro interesse (Sez. 2, Sentenza n. 4058 del 30/12/1969; Sez. 2, Sentenza n. 2083 del 22/06/1968).
La Corte d’Appello di Roma nel caso di specie ha ritenuto responsabile l’Università del pregiudizio rappresentato dal rischio di intrusioni nell’immobile dell’attrice-appellante per effetto dei lavori di ampliamento eseguiti, senza contemporaneamente riscontrare l’illegittimità delle opere o comunque una condotta dolosa o colposa dell’Università: anzi, dalla sentenza impugnata risulta addirittura l’assenza di irregolarità (v. pag. 5), il che renderebbe legittima l’attività di ristrutturazione, in quanto compresa nelle facoltà del proprietario (832 c.c.).
L’errore di diritto è palese e comporta inevitabilmente la cassazione della sentenza.
2. Con il secondo motivo si deduce ancora la violazione dell’art. 2043 c.c. in relazione alla statuizione di condanna al risarcimento dei danni per le infiltrazioni causati dalla società appaltatrice: posto che i lavori che avevano determinato le infiltrazioni erano stati eseguiti dalla E. srl la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare la sussistenza delle condizioni che legittimavano la responsabilità del committente.
Con il terzo motivo si deduce infine l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione, in relazione alla statuizione di condanna al risarcimento dei danni da infiltrazioni: il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e non esaminato era l’esecuzione dei lavori nell’ambito di un rapporto di appalto.
Queste due censure, ben suscettibili di esame congiunto, sono manifestamente fondate.
La stessa sentenza impugnata dà atto (v. pag. 4 e 5) che i lavori furono fatti eseguire dalla società E. srl che disponeva anche di un direttore dei lavori.
Sarebbe stato allora necessario che la Corte d’Appello accertasse a che titolo i lavori erano stati eseguiti traendo poi le debite conclusioni in tema di responsabilità per danni a terzi qualora si fosse trattato di appalto.
Una tale indagine manca del tutto e rende inevitabile la cassazione anche sotto tale profilo.
Il giudice di rinvio, che si individua in altra sezione della Corte d’Appello di Roma, si atterrà ai citati principi e provvederà all’esito anche sulle spese del presente giudizio.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.