La disposizione di cui all’art. 1621 c.c., secondo cui il locatore è tenuto a effettuare durante l’affitto le riparazioni straordinarie, mentre le altre sono a carico dell’affittuario, non è norma imperativa ma ha carattere meramente dispositivo e può quindi essere derogata convenzionalmente dalle parti con una espressa previsione in senso contrario.
È il principio espresso dalla cassazione al culmine di un’articolata pronuncia, di cui riportiamo un ampio estratto anche per favorire la ricostruzione del percorso giuridico effettuato dagli Ermellini.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 27.3.2020,
n. 7574
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A seguito di ricorso monitorio proposto da Immobiliare G. s.r.l. il Tribunale di Trento emetteva il decreto ingiuntivo n. 596/2015, che ordinava a Famiglia C. s.n.c. di pagare alla ricorrente la somma di euro 25.955,10 per canoni d’affitto d’azienda alberghiera, in forza di contratto d’affitto eseguito dal novembre 2008 al settembre 2014.
Famiglia C. s.n.c. si opponeva, adducendo inadeguatezza della struttura e perciò eccependo, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., l’inadempimento di controparte; inoltre opponeva in compensazione i costi di riparazioni da essa effettuate.
L’opposta si costituiva, insistendo nella sua pretesa.
Il Tribunale, con sentenza del 5 aprile 2017, accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e dichiarando che nulla doveva l’opponente a controparte.
Immobiliare G. s.r.l. proponeva appello, cui Famiglia C. s.n.c. resisteva. La Corte d’appello di Trento, con sentenza del 25 ottobre 2017, accoglieva il gravame, confermando il decreto ingiuntivo e condannando l’appellata alle spese di entrambi i gradi.
Famiglia C. s.n.c. ha proposto ricorso, da cui si è difesa con controricorso Immobiliare G. s.r.l..
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
1. Il primo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione/falsa applicazione dell’articolo 1621 c.c..
Lamenta che la Corte d’appello avrebbe ritenuto incensurabile “il comportamento dell’affittante” in forza degli articoli 4, 5 e 17 del contratto di affitto dell’azienda alberghiera che era stato stipulato. Dall’articolo 4 la corte territoriale avrebbe tratto alcune “usuali frasi” proprie dei contratti di locazione e di affitto come “l’essere noto e accettato” lo stato dei beni e l’avere l’affittuario trovato in buono stato e senza difetti l’azienda; avrebbe poi riportato quasi interamente l’articolo 5 in ordine alla ripartizione delle spese di manutenzione, omettendo però di trascrivere il contenuto dell’articolo 17, ultimo comma, che avrebbe comunque reputato “in contrasto e soccombente rispetto all’art. 5”.
L’articolo 17, all’ultimo comma, così recita: “… Ai sensi dell’art. 1621 c.c. le spese di manutenzione e riparazione ordinaria e straordinaria sono a carico dell’affittante, mentre le spese di piccola manutenzione ordinaria sono a carico della parte affittuaria”. Correttamente il giudice d’appello avrebbe rilevato che in luogo di “ai sensi” avrebbe dovuto apporsi “in deroga”; ma avrebbe peraltro errato nell’affermare che la clausola “non è propriamente conforme” all’articolo 1621 c.c., ritenendo quindi l’articolo 1621 inderogabile, laddove invece sarebbe derogabile. Conseguentemente la corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare l’articolo 17 del contratto come contrastante con l’articolo 1621 c.c., “con conseguenze vitali” sulla decisione, avendo qualificato le carenze, i vizi e il malfunzionamento dei beni aziendali oggetto di ordinaria manutenzione, e dunque a carico dell’affittuario come dispone l’articolo 1621 c.c., dovendosene escludere la deroga.
2. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione/falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1366, 1367, 1369, 1370, 1371,812 c.c., 115 e 116 c.p.c., imputando alla corte territoriale di avere violato le norme interpretative dei contratti facendo prevalere l’articolo 5 del contratto d’affitto d’azienda sull’articolo 17 dello stesso contratto, e non tenendo conto che l’articolo 4 del contratto è soltanto una clausola di stile.
(omissis)
7. I primi due motivi, attinenti all’interpretazione di alcune clausole del contratto in relazione alla portata dell’articolo 1621 c.c., meritano ictu oculi un vaglio congiunto.
7.1. La questione ermeneutica si incentra proprio sull’articolo 1621 c.c., che recita: “Il locatore è tenuto ad eseguire a sue spese, durante l’affitto, le riparazioni straordinarie. Le altre sono a carico dell’affittuario”.
In ordine alla domanda, proposta dall’attuale ricorrente, di risarcimento per le spese sostenute per l’“azienda” – rectius, in sostanza, per l’immobile – (si vedano al riguardo nella motivazione della sentenza impugnata le pagine 8 e 10), la corte territoriale (a pagina 10) afferma che il giudice di prime cure non ha effettuato “l’imprescindibile riferimento al contenuto del contratto”, contratto da cui poi evoca gli articoli 4 (sull’idoneo stato dell’immobile quando fu stipulato il contratto), 5 (in forza del quale gravano sull’affittuario “tutte le spese di piccola ed ordinaria manutenzione”) e 17.
Sull’articolo 17 del contratto – che, all’ultimo comma, come già sopra si è visto, si configura in piena evidenza come una clausola impregnata di favor per l’affittuario, gravandolo unicamente della piccola manutenzione ordinaria dell’immobile – il giudice d’appello così si esprime (nelle pagine 10-11 della sentenza): “È vero che l’ultima parte dell’art. 17 nel richiamare l’articolo 1621 cod. civ., al quale espressamente dichiara di volersi adeguare, pone le spese di manutenzione e riparazione ordinaria e straordinaria a carico dell’affittante, gravando solo di quelle di piccola manutenzione ordinaria la parte affittuaria”, ma la clausola “non è propriamente conforme” all’articolo 1621 c.c.; e allora, per l’apparente contrasto fra gli articoli 17 e 5 del contratto, “si ritiene che, anche in considerazione della parziale improprietà del riferimento” all’articolo 1621 c.c., deve prevalere l’articolo 5, “che indica più dettagliatamente, sia pure a titolo esemplificativo, gli interventi di manutenzione e riparazione a carico dell’affittuaria”. Dopodiché la corte territoriale esamina i lavori svolti dall’attuale ricorrente, per giungere ad affermare che la loro esecuzione non sarebbe riconducibile a un inadempimento della controparte Immobiliare G. s.r.l., consistendo in integrazioni di dotazioni alberghiere mancanti che sarebbero state certamente rilevate o comunque rilevabili nel sopralluogo preliminare in forza dell’articolo 4 del contratto; gli altri lavori, poi, sarebbero consistiti in riparazioni di manutenzione ordinaria.
7.2. Appare pertanto fondata la censura laddove denuncia che il giudice d’appello, interpretando il contratto, ne porta l’articolo 5 a prevalere sull’articolo 17 (anche) per un erroneo rapporto con l’articolo 1621 c.c. – norma in realtà derogabile -, traendone, a svantaggio dell’attuale ricorrente, che tutte le manutenzioni ordinarie – e quindi non soltanto quelle “piccole” – gravano sull’affittuaria, cui conseguentemente il giudice d’appello non ha riconosciuto alcun credito nei confronti di controparte.
In tema il ricorso invoca la effettivamente pertinente Cass. sez. 5, 30 luglio 2002 n. 11213, massimata ma in riferimento a un ulteriore e diverso contenuto. Nella motivazione questo arresto afferma: “La disposizione contenuta nell’art. 1621 c.c., secondo cui nel contratto di affitto di cosa produttiva le riparazioni straordinarie sono a carico del locatore (come, del resto, la regola analoga stabilita in via più generale dal primo comma dell’art. 1576 c.c. in materia di locazione), ha carattere meramente dispositivo, e può essere derogata convenzionalmente: anche se nella struttura normale dei contratti di affitto o di locazione i costi di manutenzione straordinaria sono a carico del locatore, le parti possono … stabilire altrimenti con una espressa previsione in senso contrario”.
7.3. L’articolo 1621 c.c., che riguarda appunto il contratto di affitto, non può in effetti non essere interpretato in sintonia con le norme analoghe dettate dal codice per il contratto di locazione ad uso non abitativo, evincibili soprattutto dagli articoli 1575 n.2 e 1576 c.c.. Mentre la natura della causa contrattuale si presenta del tutto affine in queste due species negoziali, diversa può ben definirsi la radice funzionale del contratto di locazione ad uso abitativo (sul quale cfr., tra gli arresti massimati, Cass. sez. 3, 31 gennaio 2006 n. 2142 – per cui nei contratti di locazione di immobili urbani destinati ad uso abitativo, governati dalla legge 27 luglio 1978 n. 392, “è nullo ai sensi dell’art. 79 della citata legge il patto in deroga all’art. 1576 cod. civ., con il quale le parti abbiano convenuto che siano a carico del conduttore le spese per la straordinaria manutenzione occorrenti per conservare all’immobile locato l’attitudine all’uso abitativo, poiché esso integra per il locatore un indebito vantaggio in contrasto con la predeterminazione legale dei limiti massimi del canone” -, che ripropone il conforme insegnamento di Cass. sez. 3, 5 agosto 2002 n. 11703, Cass. sez. 3, 9 ottobre 1996 n. 8812 del 09/10/1996 e Cass. sez. 3, 17 ottobre 1992 n. 11401).
7.4. Per la locazione ad uso non abitativo, invece, è ragionevolmente predicabile – a fortiori in un contesto in cui l’incidenza dell’articolo 79 l. 392/1978 su questa species locatizia è stata ormai ridimensionata a favore della libertà negoziale su un elemento “centrale” come il canone (da ultimo, v. Cass. sez.3, 26 settembre 2019 n. 23986, Cass. sez. 3, 10 novembre 2016 n. 22908 e Cass. sez. 3, 6 ottobre 2016 n. 25014, che hanno, per così dire, recuperato l’impostazione “liberista” di Cass. sez. 3, 3 agosto 1987 n. 6695) – l’assoluta derogabilità degli articoli 1576 e 1575 n.2 c.c. in riferimento alla ripartizione tra le parti degli oneri manutentivi dell’immobile, rientrando ciò nel potere dispositivo che consente di plasmare il concreto sinallagma negoziale anche nei contratti normativamente tipici mediante specifiche clausole ex articolo 1322 c.c., norma generale le cui limitazioni, dirette a tutelare pubblici interessi, assumono una natura di peculiarità/eccezionalità che solo da tali specifici pubblici interessi, in ultima analisi, è legittimata (v. già Cass. sez. 3, 15 marzo 1989 n. 1303: “Con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, la pattuizione che, in deroga a quanto disposto dagli artt. 1576 e 1609 cod. civ., impone al conduttore l’obbligo sia della manutenzione ordinaria che di quella straordinaria relativa agli impianti ed alle attrezzature particolari … restando a carico del locatore soltanto le riparazioni delle strutture murarie, non incorre nella sanzione di nullità stabilita dall’art. 79, primo comma, della legge n. 392 del 1978, atteso che la disciplina delle suddette locazioni non contempla anche l’art. 23 di tale legge in tema di riparazioni straordinarie, ne’ la predeterminazione legale di limiti massimi del canone, suscettibili di superamento in caso di attribuzione convenzionale dell’onere economico delle spese di manutenzione”; e cfr. pure, su un piano generale, Cass. sez. 3, 2 novembre 1992 n. 11856, per cui “le disposizioni degli artt. 1575 n. 2 e 1576 cod. cív., che pongono a carico del locatore l’obbligo di mantenere la cosa locata in istato da servire all’uso convenuto e di eseguire durante la locazione tutte le riparazioni all’uopo necessarie, tranne quelle di piccola manutenzione, non sono di ordine pubblico e possono essere, quindi, derogate dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale”). E in quel che ben può definirsi un contratto commerciale come la locazione immobiliare ad uso non abitativo non è identificabile alcun pubblico interesse che intrida di imperatività il combinato disposto degli articoli 1575 n.2 e 1576 c.c.; a fortiori, non si ravvede alcun pubblico interesse che osti alla deroga concordata dai contraenti – non potendosi certo non tenere in conto, come “bussola” interpretativa, che è la libera volontà delle parti la basilare sostanza di ogni negozio riconducibile al diritto privato – dell’articolo 1621 c.c., che è la norma corrispondente nel contratto d’affitto (corrispondenza non certamente inficiata dalla lieve divergenza semantica che alle “manutenzioni” del contratto locatizio sostituisce nel contratto d’affitto le “riparazioni”). Anzi, il timone del sinallagma nel contratto d’affitto è ancor più apertamente affidato alle parti che nel paradigma stricto sensu locatizio, la genericità dell’uso non abitativo venendo espressamente sostituita dal legislatore con la “destinazione economica” della cosa che, nella species rappresentata dal contratto di affitto, costituisce oggetto – produttivo – della “locazione”, come subito enuncia la prima norma dettata a configurarlo, ovvero l’articolo 1615 c.c..
7.5. L’articolo 1621 c.c., dunque, sorge esclusivamente dalla ratio di colmare eventuali carenze del regolamento negoziale in ordine alle “Riparazioni”, ma non inibisce alle parti di scegliere direttamente, al riguardo, la disciplina, lasciando quindi integra l’autonomia negoziale.
Non può, pertanto, essere intesa come norma imperativa.
Invece, come già constatato, il complessivo ragionamento della corte territoriale lascia intendere che – peraltro, senza offrire argomenti specifici a favore di una simile interpretazione – essa non ritiene legittima una clausola che si “distacchi” dal paradigma dell’articolo 1621 c.c..
Così l’erronea interpretazione di quest’ultimo a sua volta inficia, contagiandola della sua erroneità, tutta l’interpretazione delle clausole contrattuali 17 e 5; e al tempo stesso, naturalmente, la corte territoriale incorre in una chiara violazione o comunque falsa applicazione dell’articolo 1621 c.c., come prospetta la censura in esame, che, a questo punto, risulta pienamente fondata.
8. Il conseguente accoglimento dei primi due motivi, attinenti all’interpretazione di clausole contrattuali che sono, a ben guardare, al centro del thema decidendum, così da assorbire ogni altra censura (si noti che l’ultimo motivo è evidentemente condizionato all’accoglimento del ricorso), conduce alla cassazione della sentenza con rinvio, anche per le spese processuali, ad altra sezione della Corte d’appello di Trento, che dovrà applicare il principio di diritto per cui l’articolo 1621 c.c. non è norma imperativa, bensì è derogabile dalle parti nell’ambito della concreta formazione del regolamento negoziale.
Accogliendo il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Trento.