Per pagare una bolletta più bassa, ha manomesso il misuratore di energia elettrica, appellandosi poi al fatto che il contatore fosse collocato al piano terra del condominio, in un locale accessibile a chiunque, e quindi non necessariamente il colpevole doveva essere lui. Una difesa che non ha convinto né il tribunale, né la Corte d’Appello né, in ultima analisi, la Cassazione, che ha confermato la condanna. Di seguito, un estratto della sentenza 16181/2019.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. IV pen., sent. n. 16181/2019
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1. Con sentenza del 14 dicembre 2017 la Corte di Appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsala con cui S.P. è stato riconosciuto responsabile dei reati di cui agli artt. 624 e 625, n. 2) e 7) cod. pen. per avere, al fine di trarne profitto, sottratto energia elettrica all’ENEL, con l’aggravante di avere commesso il fatto con violenza sulle cose, consistita nella manomissione del circuito amperometrico, agendo su un bene esposto alla pubblica fede.
2. Avverso il provvedimento propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, formulando tre motivi.
3. Con il primo ed il secondo motivo, strettamente connessi, si duole del vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della prova dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato contestato. Osserva che il giudice di appello non ha giustificato le ragioni per le quali, ritenendo infondato il gravame, ha escluso la rilevanza dell’ipotesi ricostruttiva antagonista a quella adottata, così violando gli obblighi discendenti dall’art. 111 Cost., limitandosi a ricorrere ad espressioni prive di contenuto. In particolare, sottolinea che dapprima il Tribunale e poi la Corte territoriale hanno attribuito esclusiva importanza alla testimonianza del tecnico accertatore dell’ENEL, che ha dato conto della manomissione del misuratore di energia, senza tenere in considerazione le dichiarazioni rese dagli altri testi, secondo le quali il misuratore era collocato al piano terra del condominio, il cui portone in quel periodo era aperto al pubblico. La valorizzazione di siffatta circostanza avrebbe consentito di chiarire che altri soggetti, condòmini e non, potevano avere compiuto l’allaccio abusivo, anche solo per arrecare un danno al S.P.. Rileva che in ogni caso, l’imputato non era presente al momento della verifica compiuta dall’ENEL, in quanto impegnato per lavoro, non potendo in tal modo partecipare alle operazioni.
(omissis)
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
I primi due motivi sono inammissibili. La Corte territoriale, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, dà espressamente conto delle ragioni per le quali considera i motivi di appello privi di fondamento.
Il ragionamento del giudice del gravame, in realtà, muove proprio dalle evidenze processuali e lungi dall’essere congetturale, è sorretto da un giudizio logico del tutto condivisibile. A fronte della mancanza di ogni evidenza contraria, confrontandosi con il contenuto delle dichiarazioni testimoniali relative alla collocazione del contatore ed alla sua accessibilità, il Collegio esclude l’intervento di manipolazione di terzi, privi di qualsivoglia interesse, poiché l’unico interesse alla manomissione del misuratore dell’utenza intestata all’imputato – consistita nell’aggiunta di un filo nel circuito amperometrico, con conseguente registrazione di consumi inferiori a quelli effettivi nella misura del 87% – è quello dell’utente che se ne giova.
2. Le doglianze, peraltro, sono connotate da genericità. Esse ripercorrono le censure già proposte in appello, senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali non sono state accolte nel precedente grado di giudizio (omissis).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.