Numerosi e di grande importanza i principi espressi dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 10846 dell’8 giugno 2020, avente ad oggetto la mediazione in ambito condominiale.
Innanzitutto, come rimarcato dagli Ermellini, la condizione di procedibilità delle “controversie in materia di condominio” (nella fattispecie un’azione contro una condomina morosa) non può dirsi realizzata allorché all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipi sprovvisto della previa delibera assembleare non essendo in tal caso “possibile” né iniziare la procedura di mediazione e né tanto meno procedere con lo svolgimento della stessa.
Questo anche in quanto, come specificato sempre dalla Cassazione, non rientra tra le attribuzioni dell’amministratore il potere di pattuire con i condòmini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi senza apposita autorizzazione dell’assemblea.
Di seguito un ampio estratto dell’ordinanza in oggetto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 8.6.2020,
n. 10846
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(omissis)
Il Condominio … aveva avanzato gravame contro la decisione pronunciata in primo grado il 24 gennaio 2017 dal Giudice di pace di Roma. Il Giudice di pace aveva dichiarato improcedibile la domanda dello stesso Condominio volta alla condanna della condomina M.P. al pagamento della somma di euro 2.000, determinata dalla deliberazione assembleare di approvazione del consuntivo per il 2015, in quanto l’attore, pur invitato dal giudice, non aveva attivato la procedura di mediazione obbligatoria, a causa della mancata adozione da parte dell’assemblea condominiale, nonostante il rinvio dell’incontro di mediazione, della delibera di autorizzazione all’amministratore di parteciparvi.
Ad avviso del Tribunale, meritava conferma la soluzione della questione raggiunta dal primo giudice, visto, appunto, che la procedura di mediazione obbligatoria era rimasta infruttuosa per il difetto dell’autorizzazione assembleare alla partecipazione dell’amministratore (essendo la relativa riunione andata deserta). La decisione del giudice di appello poggiò sul testo dell’art. 71 quater, comma 3, disp. att. c.c., dovendosi nella specie dire mancata la procedura di mediazione, che si era chiusa senza neppure sentire le parti e tentare la conciliazione a seguito dell’inerzia dell’assemblea nel concedere la necessaria autorizzazione.
Sempre secondo il Tribunale, occorre distinguere il profilo della autonoma legittimazione processuale dell’amministratore ad agire in giudizio per la riscossione dei contributi dalla legittimazione dello stesso a partecipare alla procedura di mediazione, spiegandosi nel secondo caso l’indispensabilità della delibera dell’assemblea in base all’esigenza di conferire a chi interviene in mediazione la “possibilità di disporre della lite, vale a dire di negoziare sulla res controversa, salva poi la ratifica da parte dell’assemblea della proposta di mediazione”. La sentenza impugnata osservò, dunque, come il mancato concreto svolgimento della mediazione fosse da addebitare al Condominio attore, essendo rimasto insoddisfatto l’obbligo previsto dall’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010 e successive modificazioni di attivare la procedura di mediazione, obbligo che comporta non soltanto l’introduzione della stessa, ma anche di presenziarvi “munito dei necessari poteri, essendo questi necessari per il buon esito del procedimento”.
L’unico motivo di ricorso del Condominio …, rubricato «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», evidenzia come la mediazione doveva dirsi, piuttosto, ritualmente introdotta e dunque svolta, seppur poi negativamente chiusa, senza così comportare alcun riflesso sulla procedibilità della domanda.
(omissis)
Ove peraltro il contenuto della doglianza del ricorrente voglia essere ricondotto, più appropriatamente, alla denuncia di una violazione di norme di diritto, occorre evidenziare come il Tribunale di Roma abbia comunque fatto corretta applicazione del testo dell’art. 71 quater disp. att. c.c. (inserito dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220). Tale norma al comma 1 indica quali siano le “controversie in materia di condominio” che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sono soggette alla condizione di procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione, tra le quali certamente rientra la domanda avanzata dall’amministratore di condominio per conseguire di condanna di una condomina al pagamento dei contributi (come nella specie). Il comma 3 del medesimo art. 71 quater disp. att. c.c. aggiunge, quindi, che “al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice”. Il quarto comma dell’art. 71 quater, contempla poi l’ammissibilità di una proroga del termine di comparizione davanti al mediatore per consentire di assumere la deliberazione autorizzativa dell’assemblea, alla quale, infine, il quinto comma di tale disposizione rimette l’approvazione della proposta di mediazione, da votare con la medesima maggioranza occorrente per garantire la partecipazione dell’amministratore alla procedura.
La lettera dell’art. 71 quater, comma 3, disp. att. c.c. porta, allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Roma, che la condizione di procedibilità delle “controversie in materia di condominio” non possa dirsi realizzata allorché, come avvenuto nel caso in esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipi sprovvisto della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2 c.c., non essendo in tal caso “possibile” iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo svolgimento della stessa, come suppone il primo comma dell’art. 8, d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Non rileva nel senso di escludere la necessità della delibera assembleare ex art. 71 quater, comma 3, disp. att. c.c., il fatto che si tratti, nella specie, di controversia che altrimenti rientra nell’ambito delle attribuzioni dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con riguardo alla quale perciò sussiste la legittimazione processuale di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non può partecipare alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2 c.c., è altrimenti comunque sprovvisto del potere di disporre dei diritti sostanziali che sono rimessi alla mediazione, e, dunque, privo del potere occorrente per la soluzione della controversia (arg. da Cass. Sez. 3, 27/03/2019, n. 8473). Tale evenienza non corrisponde, dunque, all’ipotesi contemplata dall’art. 5, comma 2 bis, del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, il quale dispone che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, in quanto, ancor prima che mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della controversia è privo di giuridica possibilità.
Spetta infatti all’assemblea (e non all’amministratore) il “potere” di approvare una transazione riguardante spese d’interesse comune, ovvero di delegare l’amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti dell’attività dispositiva negoziale affidatagli (omissis). Parimenti, l’art. 1129, comma 9, c.c. (sempre introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) obbliga l’amministratore ad “agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale sia compreso il credito esigibile, a meno che non sia stato espressamente dispensato dall’assemblea”, non rientrando, quindi, tra le attribuzioni dell’amministratore il potere di pattuire con i condòmini morosi dilazioni di pagamento o accordi transattivi senza apposita autorizzazione dell’assemblea.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.