Il titolare di una ditta di pulizie vuole farsi giustizia da sé, danneggiando anche gli sportelli dei contatori del gas del palazzo ove era ubicato lo studio del professionista. Alla fine il reato è prescritto, ma vengono confermate le statuizioni civili. Di seguito una sintesi della vicenda e un estratto della sentenza 47853/2019 della Corte di Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II pen., sent. n. 47853/2019
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1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13 dicembre 2017 confermava la sentenza di condanna di U.S. per i reati di cui agli artt. 392 cod. pen.(capo A) e 635, 2° comma n.3 cod. pen. (capo B), in quanto, pur potendo ricorrere al giudice al fine di ottenere dall’amministratore di condominio P.D. il compenso per prestazioni di pulizia degli stabili condominiali effettuati dalla sua ditta, si era fatto ragione da sé minacciando di morte P.D. e usando violenza consistita nel danneggiare gli sportelli dei contatori del gas del palazzo ove era ubicato lo studio di P.D..
1.1. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di U.S., rilevando come non si fosse in presenza di una condotta violenta esercitata sulla cosa quale esercizio di un preteso diritto, ma si fosse trattato di un espediente per richiamare l’attenzione sull’impegno assunto dai condòmini in relazione al pagamento dell’attività di pulizia; quanto alle minacce, P.D. non era presente quando il ricorrente si era recato presso il suo studio e le minacce telefoniche si ricavavano solo della sue dichiarazioni.
1.2. Il difensore eccepisce inoltre che la Corte di appello aveva completamente omesso di sottoporre ad un vaglio critico e motivazionale la richiesta della difesa di ritenere assorbito il danneggiamento nel reato di cui all’art. 392 cod. pen..
1.3. II difensore lamenta poi la mancanza di motivazione circa il riconoscimento dell’attenuante della provocazione ex art. 62 n.2 cod. pen. e la determinazione della pena inflitta, con bilanciamento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza con la contestata aggravante: era dato pacifico che U.S. avesse agito in preda ad uno stato d’ira causato dai continui ritardi nei pagamenti, ma tale dato non era stato considerato dalla Corte di appello.
1.4. Il difensore eccepisce, infine, l’erroneità della legge penale circa l’applicazione dell’art. 165 cod. pen., in quanto il preventivo risarcimento del danno costituiva sanzione eccessiva rispetto alla condotta delittuosa posta in essere e non si era proceduto alla valutazione delle condizioni economiche dell’imputato.
1. Il ricorso è fondato con riferimento al quarto motivo.
1.1. Quanto al primo motivo, deve infatti essere ricordato che secondo il consolidato e condivisibile orientamento di legittimità (per tutte, Sez. 4 n. 15497 del 22/02/2002; Sez. 6 n. 34521 del 27/06/2013), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello, senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti. (omissis).
Nel caso in esame il ricorrente non si è confrontato affatto con la motivazione della Corte di appello contenuta a pag. 2 della sentenza impugnata, nella quale si evidenzia che le minacce erano state rivolte alle dipendenti di P.D. al fine di farsi ragione da sé e che era irrilevante la presenza di P.D., visto che il delitto di cui all’art. 392 cod. pen. sussiste anche quando le minacce siano rivolte a persona diversa da quella che si trovi in conflitto di interessi con l’agente; la Corte territoriale ha anche sottolineato le minacce telefoniche ricevute da P.D., la cui attendibilità non necessariamente deve accompagnarsi a riscontri esterni, ad essa non applicandosi i canoni dell’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, e che la versione dei fatti di P.D. era compatibile con il quadro generale in cui si è svolta la vicenda (lo stesso imputato, come risulta dalla sentenza di primo grado, ha parlato dei motivi di risentimento nei confronti di P.D. in quanto quest’ultimo gli doveva pagare lavori da lui effettuati).
1.2. Relativamente al secondo motivo di ricorso, si deve rilevare che nella fattispecie di cui all’art. 392 cod.pen., la violenza sulla cosa, quale elemento costitutivo del reato, assorbe il danneggiamento della “cosa” oggetto del preteso diritto arbitrariamente esercitato, ma non anche il danneggiamento di “cose” estranee ad esso, come è avvento nel caso in esame, nel quale gli sportelli del contatore del gas danneggiati non avevano alcuna relazione con i crediti vantati dal ricorrente; ciò è sufficiente per ritenere insussistente l’assorbimento del reato di danneggiamento in quello di cui all’art. 392 cod. pen. nel quale il soggetto realizza direttamente quel preteso diritto per il cui riconoscimento avrebbe dovuto ricorrere al giudice: infatti, affinché possa realizzarsi l’assorbimento degli ulteriori fatti, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, caratterizzando il reato solo la sostituzione, da parte dell’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato.
1.3. Relativamente all’attenuante di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen., questa Corte ha recentemente precisato che “ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono:
a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”;
b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale;
c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta”(sez.1, Sentenza n. 21409 del 27/03/2019): nel caso in esame, non è presente il requisito di cui alla lettera c), vista l’occasionalità della condotta del ricorrente, già da tempo in contrasto con P.D., e l’assoluta mancanza di proporzione tra minacce e distruzione dei contatori e mancato pagamento.
1.4. Fondato è, invece, il quarto motivo di ricorso.
Infatti, la Corte di appello non ha motivato in maniera esauriente sul perché fosse corretta la decisione del primo giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, limitandosi ad affermare la correttezza della decisione.
Pertanto, una volta ritenuta la fondatezza del ricorso, i reati devono essere dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, posto che correttamente è stata ritenuta la responsabilità di U.S. per i reati a lui ascritti; il ricorrente deve inoltre essere condannato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, non sussistendo motivi per la compensazione.
(omissis)
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese della parte civile P.D., che liquida in euro 3.500, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge.