Una condomina lascia sul terrazzo i suoi due cani, che abbaiano tutta la notte e disturbano il riposo dei vicini di casa. Secondo la Cassazione, tuttavia, non si tratta di reato penale. Vediamo perché, in quest’estratto della sentenza 16677/2018.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III pen., sent. n. 16677/2018
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Con sentenza del 29 gennaio 2016 il Tribunale di Benevento – dichiarata la penale responsabilità di D.C. in ordine al reato di cui all’art. 659 cod. pen., per avere, in qualità di proprietaria di tre cani, lasciato i medesimi nella notte fra il 26 ed il 27 agosto 2011 da soli nel terrazzo dell’appartamento da lei abitato, per non averne impedito il latrare e per avere, pertanto, disturbato il riposo dei condòmini G.M. e R.M. – la ha condannata alla pena di giustizia.
Ha interposto ricorso per cassazione la D.C., assistita dal suo legale di fiducia, affidando le sue lagnanze ad un solo motivo di ricorso, con il quale ha dedotto la inosservanza e/o l’erronea applicazione della legge penale, per avere il Tribunale ritenuto integrato il reato in questione sebbene il preteso disturbo fosse stato circoscritto solo ad un isolato episodio durato poche ore e senza che sia stato verificato il fatto che lo stesso abbia avuto la idoneità a ledere non solamente i due denunzianti ma un vasto ed indeterminato numero di persone, come impone la ratio della disposizione violata, posta a tutela della quiete pubblica e non di uno specifico interesse personale.
Il ricorso è fondato, nei limiti di cui in motivazione e con le conseguenze ivi indicate.
Osserva, infatti, il Collegio come, per un verso, non possa ritenersi fondata la censura, riconducibile alla categoria normativa della violazione di legge, svolta da parte ricorrente avverso la impugnata sentenza ed avente ad oggetto la pretesa non configurabilità del reato in contestazione stante la episodicità della condotta di omesso controllo posta in essere dalla D.C., la quale in una sola occasione, in particolare appunto nella notte fra il 26 ed il 27 agosto del 2011, avrebbe omesso di adeguatamente custodire i tre cani di sua proprietà, i quali, lasciati da soli nel terrazzo dell’appartamento della imputata ubicato all’interno di un edificio condominiale, avrebbero abbaiato per buona parte della notte stessa impedendo, coi loro latrati il riposo e la quiete di G.M. e di R.M., abitanti di un appartamento limitrofo a quello della imputata.
Invero, come anche in tempi relativamente recenti è stato confermato da questa Corte, con un orientamento che tuttora appare da condividere e da seguire, il reato di cui all’art. 659, comma primo, cod. pen. è reato solo eventualmente permanente, che si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo, ove la stessa sia oggettivamente tale da recare, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone (Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 febbraio 2015, n. 8351).
(omissis)
Posto, infatti, che ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dal ricordato art. 659 cod. pen. è necessario che i lamentati rumori abbiano la attitudine a propagarsi ed a costituire fonte di disturbo – per la loro intensità e per la ubicazione spaziale della loro fonte – per una potenziale pluralità indeterminata di persone, sebbene non sia poi necessaria la dimostrazione che poi tutte costoro siano state effettivamente disturbate (Corte di cassazione, Sezione I penale, 4 febbraio 2000, n. 1394), il giudice di merito avrebbe dovuto argomentare – onde fornire la dimostrazione di quanto sopra, dimostrazione resa necessaria dal fatto che in realtà la lamentela in ordine alla presenza dei rumori in questione era pervenuta esclusivamente da due soggetti, entrambi abitanti nell’appartamento immediatamente confinante con quello della D.C. e non anche da altri individui – in ordine alla intensità di tali rumori ed alla situazione antropica del luogo ove gli stessi sono stati emessi, al fine di verificare, ancorché sulla base di dati di tipo logico (e non anche necessariamente storico), l’esistenza di elementi atti a giustificare, sulla base del principio del libero convincimento del giudice, la sussistenza della predetta attitudine.
Nel caso in questione il Tribunale non ha fornito alcuno di tali elementi, fra i quali, a titolo esemplificativo, possono annoverarsi, per rimanere entro i confini tipologici del caso di specie, la razza e la conseguente presumibile stazza delle bestie in questione, dati attraverso i quale è lecito desumere la intensità, la ripetitività e la tipologia del verso dalle stesse emesse; la situazione abitativa dei luoghi ove il fatto si è verificato, essendo evidente che una zona caratterizzata da numerosi insediamenti abitativi appare più soggetta alla efficacia del disturbo sonoro arrecato rispetto ad una zona in cui vi è una ridotta incidenza di persone residenti; l’esistenza di ulteriori, periodiche o continue, fonti sonore di disturbo, tali da elidere la valenza molestatrice di quelle oggetto della imputazione.
La assenza di tali elementi di verifica – nel caso di specie il Tribunale ha, infatti, solo dato atto delle lamentele dei due vicini di casa della imputata, costituitisi parti civili senza dare atto della esistenza di alcun altro elemento di giudizio – rende quanto meno inadeguata la indagine volta ad accertare la sussistenza o meno del reato di cui in epigrafe.
Il lungo tempo trascorso rispetto alla ipotizzata verificazione dei fatti, risalenti, come detto, all’agosto del 2011, rende non necessario l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ai fini penali, dovendo rilevarsi, comunque, in assenza di elementi che possano condurre immediatamente ad una assoluzione della imputata con formula di merito, l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato contestato.
Va, viceversa, disposta, tenuto conto della costituzione di parte civile di G.M. e di R.M., soggetti ritenuti danneggiati dal reato, il rinvio del presente giudizio, ai soli fini civili, di fronte al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione e con rinvio al giudice civile competente in grado di appello.