L’interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare gli appartamenti, tra l’altro ad “asili di infanzia”, come preclusiva altresì dell’attività di micro-nido non risulta contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l’intenzione comune dei condòmini. È il parere espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 16384 del 21 giugno 2018, di cui riportiamo un estratto.
———-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 21.6.2018,
n. 16384
————
L.P. ha proposto ricorso articolato in unico motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1368, 1369 e 1371 c.c.) avverso la sentenza 5 ottobre 2016, n. 3691/2016, resa dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ha rigettato l’appello avanzato dal medesimo L.P. contro la pronuncia di primo grado del Tribunale di Como del 4 marzo 2013.
Il Condominio di via …, resiste con controricorso ed ha altresì presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c.
Il Tribunale di Como accolse la domanda del Condominio di via …, contenuta nella citazione del 5 luglio 2011 e volta alla cessazione dell’attività di asilo di infanzia svolta dal L.P. nell’unità immobiliare di sua proprietà sita al piano rialzato dell’edificio condominiale, perché contrastante con la clausola n. 4 del regolamento di condominio contrattuale. A tal fine, la Corte d’Appello, trascritto il contenuto di tale clausola, la quale fa divieto di destinare i locali, fra l’altro, ad “asili di infanzia”, ha escluso che sussista una sostanziale differenza, con riguardo alla relativa applicabilità, tra le attività di “asilo nido” e di “micro-nido”, quale è appunto quella che L.P. assume di svolgere nel proprio immobile; ciò tenuto conto dell’epoca di redazione del regolamento (1971) allorché neppure esistevano le diverse figure delle scuole d’infanzia, degli asili nido e dei micro-nidi, nonché delle finalità della clausola n. 4, certamente intesa ad evitare che nelle unità di proprietà esclusiva venga comunque esercitata un’attività di custodia ed assistenza ad infanti.
(omissis)
Il ricorrente lamenta l’errore della Corte d’Appello perché la stessa, ritenendo operante il divieto regolamentare di destinazione delle unità immobiliari ad “asili di infanzia” pure per i “micro-nidi”, non avrebbe tenuto conto che questi ultimi non arrecano i “pericoli di disturbo” propri degli asili. Si richiamano anche i principi di cui agli artt. 3, 29, 31 e 37 Costituzione, nonché l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e si evidenzia il ruolo svolto dai cosiddetti “micro-nidi”, istituiti dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448, e poi regolati da apposite delibere della Giunta Regionale Lombardia.
È invece da ribadire come l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l’omesso esame di fatto storico ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (omissis). Nella specie, l’interpretazione dell’art. 4 del regolamento contrattuale Condominio di via …, prescelta dalla Corte d’Appello di Milano, non rivela le denunciate violazioni dei canoni di ermeneutica. In particolare, l’interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare gli appartamenti, tra l’altro ad “asili di infanzia”, come preclusiva altresì dell’attività di micro-nido (la quale effettivamente si differenzia da quella dell’asilo soltanto per le dimensioni strutturali di recettività, e non invece per il comune carattere assistenziale ed educativo dei suoi servizi resi a minori di tenerissima età) non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l’intenzione comune dei condòmini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l’interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l’unica possibile, né la migliore in astratto.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al Condominio controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 2.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.