Un passante cade su uno scalino a suo dire poco illuminato collocato in un’area di pertinenza di un condominio, al quale fa causa per risarcimento dei danni.
Ma la Cassazione conferma la sentenza della Corte d’Appello, che non ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra evento e danno, anche perché “nessun testimone ha dichiarato di aver assistito direttamente al momento della caduta, né è stato pertanto in grado di riportare informazioni in ordine alle modalità della stessa”.
Di seguito un estratto dell’ordinanza di Cassazione numero 10010 del 28 maggio 2020.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 28.5.2020,
n. 10010
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1. Nel 2008, C.G., conveniva il Condominio …, al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni dallo stesso subiti a causa di una caduta determinata dalla presenza di un insidioso gradino poco illuminato sulla pavimentazione esterna di un centro commerciale. Gli spazi comuni antistanti il centro commerciale risultavano affidati alla gestione del Condominio convenuto.
Il Condominio si costituiva in giudizio, negando la propria responsabilità e riconducendo l’evento al caso fortuito.
Il 15 giugno 2013 C.G. decedeva, per cause indipendenti dall’accaduto, pertanto si costituivano in giudizio i figli C.F. (e altri).
Il Tribunale di Velletri con sentenza n. 2084/2013 accoglieva la domanda attorea ex art. 2051 c.c. condannando il condominio a risarcire i danni.
2. Il Condominio proponeva appello avverso la sentenza di prima cure, chiedendo il rigetto della domanda attorea e la riduzione dell’importo del risarcimento, ritenendo sussistente un concorso di colpa ex art. 1227 c.c..
Con sentenza n. 4169/2018 la Corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda attorea avendo ritenuto non sussistente il nesso di causalità tra danno e evento. Infatti, secondo la Corte, l’evento sarebbe stato imputabile al comportamento colposo del danneggiato, non avendo egli utilizzato la prudenza richiesta ordinariamente a colui che cammina in un luogo poco illuminato ed integrandosi così l’ipotesi di caso fortuito con la conseguente interruzione del nesso di causa.
Non solo: il giudice del merito ha anche ritenuto che non ci fosse un quadro probatorio concordante con riferimento sia all’illuminazione che alla pavimentazione in quanto dalla deposizione del teste è emerso che fossero al momento dell’accaduto in buono stato.
3. Avverso tale sentenza C.F. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. Il condominio … resiste con controricorso.
(omissis)
5.1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2051 c.c. – illogicità della motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c.”.
La Corte d’appello, dopo aver sussunto il caso di specie nell’ipotesi dell’art. 2051 c.c., ne escludeva la responsabilità del custode per condotta incauta del danneggiato, il quale non avrebbe prestato quella particolare attenzione richiesta a colui che si apprestava a camminare in un luogo scarsamente illuminato.
La motivazione sarebbe illogica là dove rileva che il caso fortuito può essere integrato completamente dalla condotta incauta del danneggiato.
La parte ritiene, infatti, che il caso fortuito dev’essere riferito ad avvenimenti esterni assistiti dalla imprevedibilità ed eccezionalità che si inseriscono improvvisamente nell’azione del soggetto, senza rilevare in alcun modo la colpa dello stesso.
(omissis)
6. Il ricorso è inammissibile perché nessuno dei motivi proposti attacca la ratio decidendi autonoma e preliminare enunciata dalla corte capitolina a pagina 3, là dove essa ha detto che non era provato adeguatamente il nesso di causalità fra la cosa in custodia ed il danno. Infatti afferma il giudice del merito “Con riferimento al caso di specie si ritiene innanzitutto non adeguatamente provato da parte attrice il nesso di causalità fra cosa in custodia ed evento dannoso, poiché nessun testimone ha dichiarato di aver assistito direttamente al momento della caduta, né è stato pertanto in grado di riportare informazioni in ordine alle modalità della stessa”. E tale ratio decidendi non è stata adeguatamente impugnata.
(omissis)
7. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.700 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge.