“In tema di condominio, è illegittimo l’uso particolare o più intenso del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ove si arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale. In materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, inoltre, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità”.
Una posizione chiara e inequivocabile quella espressa dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 1235 del 18 gennaio 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 18.1.2018,
n. 1235
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S. s.a.s. propone ricorso per cassazione articolato in sei motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 1348/2016 del 1 marzo 2016, che, confermando la decisione di primo grado resa dal Tribunale di Roma n. 2294/2012, aveva condannato la stessa condomina S. s.a.s., su domanda nei confronti del Condominio di Piazza …, a rimuovere il manufatto realizzato dalla C. s.a.s. (dante causa della S. s.a.s.) in adiacenza al portone di ingresso dell’edificio condominiale.
Il Condominio di Piazza …, resiste con controricorso.
La Corte d’Appello di Roma ha ripercorso gli accertamenti svolti dal CTU nominato in primo grado, descrivendo l’opera per cui è causa come una piattaforma di circa 31,51 mq, coperta da ombrelloni e delimitata da ringhiere, appoggiata sulla pavimentazione della piazza antistante l’edificio condominiale, ancorata alla parete perimetrale dello stesso in prossimità del suo portone di ingresso, modificatrice della simmetria del fabbricato e dunque lesiva del decoro architettonico ex art. 1120 c.c..
(omissis)
Il primo motivo di ricorso deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”, avendo la Corte d’Appello giudicato senza valutare le prove, in quanto il manufatto sorge su un’area pubblica, è posto in aderenza all’edificio condominiale e trova perciò applicazione l’art. 877 c.c..
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 132 n. 4, c.p.c., essendosi la Corte d’Appello immotivatamente discostata dalla valutazione del CTU per cui il manufatto denunciato è stato realizzato su uno spiazzo pubblico.
Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 877 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, essendosi erroneamente applicato l’art. 1120 c.c. e non invece l’art. 877 c.c..
Il quarto motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, essendo stato lamentato con l’atto di appello che l’opera per cui è causa non fosse riconducibile alla nozione di innovazione ex art. 1120 c.c..
Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., non essendo stata censurata in appello la circostanza, accertata dal CTU e condivisa dal Tribunale, per cui il manufatto non comprometteva la possibilità di accedere al fabbricato né la visibilità del numero civico.
(omissis)
I sei motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente perché connessi, rivelano profili di inammissibilità e si dimostrano comunque tutti infondati.
(omissis)
Il ricorrente insiste, peraltro, su una circostanza non decisiva, quale quella della realizzazione della piattaforma su uno spazio pubblico e non condominiale. La Corte d’Appello di Roma ha piuttosto dato rilievo, sulla base di accertamento di fatto che non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., al dato che la stessa piattaforma di oltre trenta mq, coperta da ombrelloni e delimitata da ringhiere, fosse “ancorata alla parete perimetrale” dell’edificio condominiale, vicino al portone di ingresso, così modificando la simmetria del fabbricato.
È conforme alla giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione, seguita dai giudici del merito, per cui, ai fini della tutela prevista dall’art. 1120 c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. La tutela del decoro architettonico – di cui all’art. 1120 c.c. – attiene a tutto ciò che nell’edificio è visibile ed apprezzabile dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, per cui il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà del suolo su cui venga realizzata l’opera innovativa (omissis).
Si configura, in astratto, peraltro, non una violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c. (testo antecedente alle modifiche introdotte con la legge n. 220/2012, qui operante ratione temporis), ma dell’art. 1102 c.c., disposizione invero applicabile a tutte le innovazioni che, come nella specie, non comportano interventi approvati dall’assemblea e quindi spese ripartite fra tutti i condòmini; dovendosi del pari riaffermare che, in tema di condominio, è illegittimo l’uso particolare o più intenso del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ove si arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale (omissis).
Né, ai fini della verifica del danno estetico alla facciata dell’edificio condominiale, determinante agli effetti degli artt. 1102 e 1120 c.c., assume rilievo il fatto che la piattaforma sia stata realizzata “in aderenza” al muro comune. Al riguardo, il ricorrente propone anche una questione di applicabilità dell’art. 877 c.c., questione che però non viene affrontata nella sentenza impugnata, e che risulta quindi inammissibile in questa sede, non essendo stato indicato, ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto del giudizio di merito essa venne posta, e trattandosi peraltro di questione di diritto implicante il necessario svolgimento di indagini ed accertamenti di fatto. In ogni caso, per il giudizio sull’alterazione dello stile architettonico della parete esterna di un fabbricato condominiale, è privo di decisività il dato che il manufatto ivi realizzato si innesti nel muro comune o coesista con esso, rimanendone autonomo. Del pari privo di significato determinante è che il manufatto non impedisse l’accesso allo stabile condominiale né la visibilità del suo numero civico (circostanze che la ricorrente assume nel suo quinto motivo come accertate in primo grado e non oggetto di specifica devoluzione al giudice d’appello, e perciò ormai coperte da giudicato), in quanto gli artt. 1120 e 1102 c.c. individuano, quali limiti per la legittimità delle modificazione di uno stabile condominiale, la stabilità o la sicurezza del fabbricato, il decoro architettonico dell’edificio, appunto, nonché l’uso o il godimento delle parti comuni ad opera dei singoli condòmini, limiti operanti, tuttavia, in via pure alternativa e non necessariamente concorrente.
(omissis)
Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
(omissis)
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.700, di cui euro200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
(omissis)