Quando non si può aprire un negozio in condominio
Il mancato consenso dell’assemblea impedisce il mutamento di destinazione di un alloggio in condominio, il che implica il divieto all’esercizio di un’attività di vendita a prescindere che i titolari abbiano ottenuto le autorizzazioni amministrative. Ma c’è di più: le innovazioni in condominio sono differenti dalle modificazioni della cosa comune, e necessitano dunque di diverse maggioranze.
Sono due principi emersi dall’ordinanza 15265/2019 di Cassazione, della quale riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 5.6.2019,
n. 15265
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Rilevato che
- con sentenza n. 4062 la Corte d’appello di Napoli in accoglimento dell’appello proposto dal Condominio ed in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli in data 13 novembre 2006, accoglieva la domanda dell’attore appellante ed ordinava ai convenuti appellati L.P. e L.S. di ripristinare lo stato dei luoghi oggetto di causa riportandolo alla situazione precedente come risultante dalle fotografie allegate al fascicolo del Condominio appellante e raffigurante i luoghi in epoca precedente alla realizzazione del negozio con autonomo accesso attraverso la scala esterna di muratura, posti in essere dagli appellati con condanna degli stessi al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio;
- la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta da L.P. e L.S. con ricorso notificato il 28 gennaio 2014 e fondato su tre motivi cui resiste con controricorso il Condominio di via ….
Considerato che
- con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi previsti dall’articolo 1138 cod. civ. con riferimento all’art. 3 del regolamento condominiale che, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, consentirebbe al secondo comma la possibilità di svolgere attività commerciali nello stabile condominiale, escludendo “… in ogni caso qualsiasi attività incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità dei condòmini, con il decoro dell’edificio e con la sicurezza pubblica. Il negozio può essere adibito a scopo di vendita, ad esercizio pubblico o a deposito. È fatto espresso divieto di destinarlo a deposito o alla vendita di merci maleodorante, pericolosa o infiammabile…”;
- il motivo è infondato poiché , diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, l’assunto posto a fondamento della decisione impugnata non è il divieto di esercitare attività commerciale, bensì il divieto di modificare la destinazione abitativa degli appartamenti senza il dovuto rispetto delle maggioranze assembleari richieste dalle disposizioni normative e regolamentari;
- la corte territoriale ha, in particolare, specificato l’inidoneità delle autorizzazioni amministrative ottenute dai signori L.P. e L.S. a far venir meno detto divieto; divieto che può essere modificato soltanto con il consenso unanime di tutti i condòmini, manifestato in forma scritta;
- in mancanza di ciò, la corte lo ha ritenuto valido ed efficace;
- peraltro tale consenso era stato chiesto dai signori L.P. e L.S. ma era stato rifiutato dall’assemblea condominiale e tale mancanza non può essere surrogata dall’autorizzazione amministrativa rilasciata dall’ente pubblico per finalità che non riguardano i rapporti interni al condominio;
- con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dei principi regolatori di cui gli articoli 1120 e 1121 cod. civ. per avere la Corte d’appello qualificato le opere realizzate dagli odierni ricorrenti quali alterazioni dell’estetica ed alla simmetria del fabbricato ascrivendole nella categoria delle innovazioni, con la necessità delle conseguenti autorizzazioni condominiali a mezzo assemblea;
- il motivo è infondato avendo la corte territoriale correttamente qualificato l’intervento posto in essere come innovazione di cui all’art. 1120 c.c. che si distingue dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo;
- sotto il profilo oggettivo, la prima consiste in un’opera di trasformazione, che incide sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre la seconda si inquadra nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa;
- per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nell’innovazione rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nella modificazione, che non si confronta con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento è rivolta (cfr. Cass. 945/2013; id. 18052/2012; id. 20712/2017);
- nel caso di specie, si realizza un mutamento di destinazione che incide sulla fruizione del bene e riverbera soggettivamente sull’interesse collettivo a mantenere o meno le destinazioni originarie delle varie unità di cui è composto il condominio e che giustifica pertanto il passaggio attraverso la deliberazione assembleare;
(omissis)
- atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto e, in applicazione del principio di soccombenza, i ricorrenti vanno condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite a favore della controparte nella misura liquidata in dispositivo;
(omissis)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro, alla rifusione delle spese a favore del controricorrente che liquida in euro 4200 di cui euro 200 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge , se dovuti.