Qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, è necessario che, in qualità di condomino, utilizzi le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c. (omissis). Non può, quindi, ad esempio, costruire una terrazza che crei ombra ed occlusione al condominio del piano sottostante.
È quanto disposto dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 9397 del 16 aprile 2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI, ord. 16.4.2018, n. 9397
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1. La Corte d’Appello di Trieste con sentenza depositata il 14.6.2016 ha respinto l’impugnazione principale e quella incidentale, proposte, rispettivamente dalla O. srl e da A.B. e G.V. contro la sentenza 709/2014 del Tribunale di Udine che aveva – per quanto di stretto interesse in questa sede – condannato la società convenuta a rimuovere una terrazza ritenuta limitativa della fruizione di aria e luce per l’appartamento sottostante degli attori sito nel fabbricato di ….
2. La sentenza è stata impugnata dalla società O. srl con ricorso per cassazione sulla base di tre motivi a cui resistono con controricorso i A.B.-G.V..
3. Il relatore ha proposto l’inammissibilità dei primi due motivi di ricorso e il rigetto per manifesta infondatezza del terzo.
(omissis)
3. Col terzo motivo la società ricorrente denunzia, infine, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1102 e 1122 c.c.). Dopo avere richiamato il contenuto delle predette norme, la ricorrente rileva che nel caso in esame nessuna di esse è stata violata e che non è dato comprendere da dove sia stata tratta l’argomentazione secondo cui l’esercizio delle facoltà di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c. troverebbe un limite nella menomazione della fruizione di luce ed aria da parte dei proprietari dei piani inferiori; rileva che l’art. 1122 prevede come limite i danni alle parti comuni dell’edificio.
Il motivo è manifestamente infondato.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario che, in qualità di condomino, utilizzi le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c. (omissis).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, con tipico apprezzamento in fatto ha fondato l’accoglimento della domanda di rimozione della terrazza per la condizione di ombra e occlusione causata alla proprietà esclusiva: tale conclusione, sintetica, appare però giuridicamente corretta proprio in considerazione dei limiti imposti dalla legge all’utilizzo delle cose comuni e quindi sulla verifica di una attività esorbitante dal legittimo utilizzo.
E che si tratti di utilizzo dei beni comuni da verificare ai sensi dell’art. 1102 c.c. lo si desume dalla natura dell’intervento sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, trattandosi di interventi realizzati dal condomino per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa e mancando un interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea (sulle differenze di carattere oggettivo e soggettivo tra le innovazioni ex art. 1120 c.c. e le modificazioni ex art. 1102 c.c. v. Sez. 2, Ordinanza n. 20712 del 04/09/2017).
D’altro canto – e il rilievo tronca definitivamente ogni ulteriore discussione – l’indagine finalizzata a verificare se in concreto l’uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c. rientra, peraltro, nei poteri del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se non per omesso esame di un fatto storico decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nel testo, qui applicabile (v. Ordinanza n. 5196/2017 cit.) e nel caso di specie neppure dedotto.
Il ricorso, che non coglie la ratio decidendi fondata sull’utilizzo improprio del bene comune, va respinto con addebito di spese alla parte soccombente.
(omissis)
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.200 di cui euro 200 per esborsi.