Un condomino apostrofa il vicino di casa come “malandrino” e lo fa vicino all’ingresso dell’abitazione della persona offesa, ripreso dalle telecamere puntate anche sull’androne, le cui immagini registrate sono considerate legittimamente una prova, sia perché quelle aree condominiali non possono essere considerate alla stregua di luoghi di privata dimora, sia perché, in ogni caso, la violazione della disciplina a tutela della privacy non può costituire uno sbarramento rispetto alle preminenti esigenze di accertamento del processo penale.
Di seguito, un interessante estratto della sentenza 21507/2018 della Corte di Cassazione.
————-
CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 21507/2018
————–
1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Siracusa in composizione monocratica, in funzione di giudice di appello, confermava la sentenza emessa dal Giudice di pace di Lentini in data 12/12/2013, con cui G.S. era stata condannata a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, in relazione al delitto di cui all’art. 595 cod. pen., perché, comunicando con più persone, offendeva la reputazione di L.I. pronunciando le espressioni “chissu è malandrino, abusivo, è malandrino, è uno di quelli … che non paga le tasse, non paga il condominio, non paga niente”; in Lentini, il 05/04/2011.
2. Con ricorso depositato in data 01/07/2016 G.S. ricorre personalmente per:
(omissis)
2.2. vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in quanto la sola persona offesa avrebbe indicato la ricorrente come autrice del fatto, al quale nessun altro aveva assistito; le riprese video della telecamera installata sull’ingresso dell’abitazione della persona offesa, inoltre, vanno considerate illegittime ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen., in quanto effettuate in violazione della privacy dei condòmini dello stabile, tra cui l’imputata, considerato altresì che le sentenze di legittimità citate in motivazione non appaiono pertinenti, essendo riferite a riprese effettuate in luogo aperto al pubblico, quale non può certamente essere considerato il pianerottolo condominiale di un palazzo destinato a private abitazioni; ne discende che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, non sarebbero sufficienti a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche a fronte di una mancata identificazione della ricorrente, indicata come signora C. dal consulente, che, tuttavia, non aveva effettuato alcuna identificazione, laddove i testi escussi in primo grado avevano escluso che la signora C. si identificasse con l’imputata; infine il personale dell’ENEL, con cui l’imputata si sarebbe intrattenuta a parlare, non conosceva la persona offesa, con conseguente insussistenza del reato.
(omissis)
2.2. In relazione alla qualificazione come luogo aperto al pubblico dell’ambiente inquadrato dalla telecamera installata sulla porta di ingresso dell’abitazione della per persona offesa – ossia l’androne condominiale, il portone di ingresso dello stabile, il vano contatori e l’ingresso dell’ascensore -, va ricordato che molteplici arresti di questa Corte hanno concordato nell’individuare, per luogo aperto al pubblico, quello al quale chiunque può accedere a determinate condizioni, ovvero quello frequentabile da un’intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto (omissis).
Ne discende la piena utilizzabilità delle videoriprese effettuate in detti luoghi, al di fuori e prima dell’instaurazione del procedimento penale, trattandosi non di prove atipiche, bensì di documenti, acquisibili senza la necessità dell’instaurazione del contraddittorio previsto dall’art. 189 cod. proc. pen., per cui, nel caso di mancata acquisizione delle stesse, deve ritenersi legittima la testimonianza resa dagli operatori di polizia giudiziaria in ordine al loro contenuto rappresentativo, non potendo, in ogni caso, la violazione della disciplina a tutela della privacy costituire uno sbarramento rispetto alle preminenti esigenze di accertamento del processo penale (omissis).
Sulla scorta di detta premessa, ne discende l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso che, per le residue argomentazioni, appare ai limiti della inammissibilità, in quanto fondato su circostanze ed elementi processuali – quali la consulenza tecnica e le prove dichiarative costituite dalle deposizioni dei dipendenti dell’ENEL – che non solo questa Corte ignora, non essendo stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso, ma che, in ogni caso, mirano ad una valutazione di merito del materiale probatorio che esula del tutto dal perimetro del giudizio di legittimità.
3. Va rigettata, infine, la richiesta di sospensione del presente processo alla luce della pendenza, nei confronti di L.I., di un processo innanzi all’A.G. di Siracusa per effetto di decreto di giudizio immediato, in relazione al delitto di cui all’art. 615 bis, cod. pen., atteso che, secondo quanto affermato da questa Corte, ai fini della integrazione del detto reato, deve escludersi che le scale condominiali ed i relativi pianerottoli possano essere qualificati come “luoghi di privata dimora”, cui estendere la tutela penalistica alle immagini ivi riprese, trattandosi di zone che non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo di sguardi indiscreti, essendo destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, sentenza n. 34151 del 30/05/2016, P.C. in proc. Tinervia, Rv. 270679; in motivazione la sentenza ha affermato che “L’art. 615/bis è funzionale alla tutela della sfera privata della persona che trova estrinsecazione nei luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen.; vale a dire, nell’abitazione e nei luoghi di privata dimora, oltre nelle ‘appartenenze’ di essi. Si tratta di nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli svolge la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza. Peraltro, proprio l’oggetto giuridico della tutela presuppone uno spazio fisico sottratto alle interferenze altrui, sia nel senso che altri non possano accedervi senza il consenso del titolare del diritto, sia nel senso che sia destinato a rimanere riservato ciò che avviene in quello spazio. Le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (omissis).
Dal rigetto del ricorso discende, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.