In tema di immissioni rumorose causate da un’officina, il danno alla salute del condomino non può ritenersi sussistente in re ipsa. L’assenza di un danno biologico documentato comunque, non osta al risarcimento del danno non patrimoniale, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane.
È quanto disposto dalla Cassazione con l’ordinanza 21554/2018, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 3.9.2018,
n. 21554
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E.F. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’Officina L. al pagamento di 10.500 euro a titolo di risarcimento danni in favore dell’odierno ricorrente.
La Corte territoriale, in particolare, riteneva che seppure le immissioni di rumore privavano il proprietario della possibilità di godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione, non poteva ritenersi provato un danno alla salute, per cui l’unico danno risarcibile era quello della compromissione del pieno svolgimento della vita domestica.
Considerato dunque che, sulla base dei rilievi effettuati, le immissioni provenienti dall’officina risultavano superare la soglia di normale tollerabilità in un solo ambiente della casa ed in misura contenuta (da 3 a 5 Db) ed inoltre nel solo orario di apertura dell’officina, determinava in via equitativa l’ammontare del risarcimento del danno in 10.550 euro, riducendo l’ammontare originariamente liquidato.
L’Officina L. resiste con controricorso, illustrato da memorie ex art. 380 bis c.p.c.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 844, 2043, 2059, 1226 c.c., 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 codice di rito.
Il ricorrente censura, in particolare, la statuizione della sentenza impugnata che ha ridotto il risarcimento del danno sul rilievo che non risultava provato un danno alla salute, ma unicamente una compromissione al pieno svolgimento della vita domestica, deducendo che in materia di immissioni intollerabili il danno non patrimoniale alla salute non dev’essere specificamente provato in quanto sussistente in re ipsa.
Il motivo è infondato.
Ed invero, secondo il più recente indirizzo di questa Corte, il danno alla salute non può ritenersi sussistente in re ipsa.
L’assenza di un danno biologico documentato peraltro, non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cass. Ss.Uu. 2611/2007).
A tale indirizzo si è conformata la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che non potesse ritenersi provato un danno alla salute, riconoscendo peraltro all’odierno ricorrente il risarcimento del danno derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare.
Del pari esente da censure l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’odierno ricorrente non aveva allegato un danno alla salute, dovendo tale affermazione intendersi nel senso che non era stato specificamente allegato un concreto pregiudizio alla salute, e soprattutto tale pregiudizio, non riconducibile alla mera intollerabilità delle immissioni, non era stato dimostrato.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 844 comma 2, 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., per avere la Corte territoriale illegittimamente tenuto conto della assoluta priorità temporale dell’attività commerciale esercitata, rispetto alla destinazione abitativa, nella determinazione dei danni.
Il motivo è fondato.
L’art. 844 cod. civ. impone, infatti, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, dell’articolo 2059 cod. civ.(Cass. 5844/2007).
A tale criterio interpretativo non risulta essersi conformata la sentenza impugnata, che ha erroneamente considerato, ai fini dell’ammontare del risarcimento, pure il criterio della “priorità dell’uso”.
Ed invero secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la valutazione equitativa, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto, è sottratta al sindacato di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici, mentre nel caso di specie uno dei criteri di determinazione del danno utilizzati dal giudice di merito risulta errato, non potendo ad esso farsi riferimento ai fini della liquidazione del danno.
(omissis)
In conclusione respinto il primo motivo e dichiarato inammissibile il quarto motivo, va accolto il secondo motivo, assorbito il terzo.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto.
La Corte rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il quarto motivo.
Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.