Se il parcheggio illegittimo da parte di alcuni condòmini ne penalizza altri, titolari di locali, questi ultimi, devono pur sempre allegare quali utilizzazioni (e dunque guadagni) hanno perduto a cagione della occupazione del bene. In caso contrario, non può riconoscersi un danno misurato sul mancato guadagno, quanto piuttosto un danno da perdita della disponibilità, che è liquidabile soltanto equitativamente. Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 30334 del 21 novembre 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III civ., ord. 21.11.2019,
n. 30334
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I resistenti hanno tutti la proprietà di diversi locali posti a piano terra della via M. a Genova.
Due condomini, e precisamente quelli siti al civico 28-30 e 60, hanno delimitato spazi da destinare a parcheggio lungo la via M., che separa i due edifici condominiali, in corrispondenza dei locali dei condòmini attori.
Questi ultimi hanno ritenuto che la destinazione a parcheggio delle carreggiate di tale stradina fosse illegittima e fonte di danno per le loro proprietà, in quanto ne impediva o ne ostacolava l’uso.
Hanno cosi citato i due condomini ed hanno ottenuto in primo grado l’eliminazione dei parcheggi, ed il risarcimento del danno dovuto all’incidenza sul mancato utilizzo (o sul ridotto utilizzo) dei loro locali, che, anche a seguito di CTU, il giudice di primo grado ha ritenuto derivare proprio dalla adibizione a parcheggio della stradina antistante tali locali.
Il danno è stato liquidato prendendo a base le mensilità di locazione o di sfruttamento del bene.
La corte di appello ha in parte riformato questa decisione. Intanto, ha ritenuto inammissibile l’impugnazione del Condominio via M. 28-30, la cui condanna, dunque, al pagamento dei danni è ormai passata in giudicato. Nel merito, quanto al condominio via M. 60 ha invece modificato la somma posta a suo carico, applicando nella determinazione del quantum, il criterio equitativo.
Ricorre il Condominio via M. 60 con tre motivi. V’è controricorso dei condòmini. Entrambe le parti depositano memorie.
1. La ratio della sentenza impugnata.
I giudici di appello applicano la regola secondo cui, pur potendo essere considerato in re ipsa il danno da occupazione di immobile, la parte deve pur sempre allegare quali utilizzazioni (e dunque guadagni) ha perduto a cagione della occupazione del bene.
In difetto di tale allegazione, che sarebbe, per l’appunto, mancata nel caso presente, non può riconoscersi un danno misurato sul mancato guadagno, quanto piuttosto un danno da perdita della disponibilità, che è liquidabile soltanto equitativamente.
2. I motivi di ricorso sono tre.
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’articolo 1226 cod. civ.. ossia ritengono che, dopo aver correttamente richiamato la regola per cui la parte deve comunque allegare di aver perso occasioni di guadagno a causa della occupazione del bene, e dopo aver rilevato che tale allegazione non è stata fornita, la corte di merito ha comunque liquidato il danno equitativamente, con ciò violando la regola sottesa al risarcimento in via equitativa che pretende pur sempre la prova del danno, salva la difficoltà di stimarlo.
Secondo il ricorrente, una volta appurato che non è stata allegata la prova del danno, non avrebbe dovuto procedersi ad una sua equitativa liquidazione, che invece presuppone la prova del pregiudizio, e solo lascia incerta la stima. Il motivo è infondato.
Infatti, la corte di appello, accertata la mancata allegazione della prova di uno sfruttamento commerciale, ne ha dedotto correttamente l’illegittima quantificazione del risarcimento in termini, per l’appunto, di perdita di un guadagno (p. 13-14), ed ha invece ritenuto sussistere un danno diverso, quello insito nella ridotta disponibilità del bene che la presenza dei parcheggi aveva causato e che era stata dimostrata in corso di causa.
Con la conseguenza che la stima equitativa è stata correttamente utilizzata dalla corte, in presenza di un pregiudizio, sì, provato (quello per la mancata disponibilità del bene pura e semplice), ma di difficile quantificazione.
2.1. Con il secondo motivo invece si lamenta violazione degli articoli 1292 e 2055 cod. civ.
Secondo il ricorrente la corte di merito avrebbe disatteso la pronuncia di primo grado quanto alla solidarietà tra i due condomini relativamente all’obbligazione di risarcimento.
Ossia, la condanna del condominio via M. n. 28-30 è passata in giudicato, per inammissibilità dell’appello, e ciò dovrebbe aver anche reso definitiva la solidarietà di quest’ultimo con il condominio ricorrente, solidarietà che invece non è stata confermata in secondo grado.
Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della decisione.
In primo grado i due condomini sono stati condannati al risarcimento dei danni in solido. L’impugnazione del condominio via M. n. 28-30 è stata dichiarata inammissibile, mentre quanto al Condominio via M. n. 60, ossia quello ricorrente qui, è stata solo ridotta la misura del risarcimento, non già il titolo di esso.
La solidarietà, affermata in primo grado, non è stata oggetto di giudizio nel secondo, né risulta una riforma comunque fatta dal giudice di appello, che, fermo restando il titolo della responsabilità, ha soltanto ridotto l’ammontare del dovuto a carico del condominio appellante.
(omissis)
Il ricorso va pertanto rigettato, e le spese seguono la soccombenza.
La corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 1800 euro, oltre 200 euro per spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.