Molti contrasti condominiali nascono da vere e proprie appropriazioni di beni comuni, primo fra tutti il cortile. Ed i giudici devono distinguere gli utilizzi leciti da quelli abusivi.
Pubblichiamo, di seguito, una carrellata di massime tratte da alcune delle più recenti sentenze di Corte di Cassazione in materia proprio di parti comuni.
I proprietari di un appartamento immettono lo scarico di una calderina del loro locale bagno nella canna fumaria collocata nel perimetrale dell’edificio affiancato. Viene chiesto loro di rimuovere lo scarico dei fumi. I giudici di merito si sono posti il problema di stabilire se la presunzione di comunione del muro divisorio si estendesse anche alla canna fumaria, ricavata nel vuoto del muro comune. Anche in forza di prove testimoniali, era emerso che la canna fumaria era al servizio anche dell’appartamento dei convenuti, trattandosi di antiche costruzioni allineate sulla via pubblica. Anche la S.C. conclude nel senso che, in assenza di una prova di destinazione esclusiva, la canna fumaria compresa nel muro di confine è comune, e dunque può servire più unità abitative.
Cass., Sez. VI civ., sent. 17.6.2019, n. 16154.
Il proprietario di un box conveniva in giudizio il condominio chiedendo che venisse accertato il suo esclusivo diritto di proprietà sul locale terraneo, con conseguente condanna del condominio al rilascio e allo sgombero dello stesso. Il condominio, costituendosi, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendo la causa essere instaurata nei confronti dei singoli condòmini e non nei confronti del solo amministratore. Per la Cassazione, la pretesa di chi si affermi proprietario esclusivo con una domanda mirante al giudicato di accertamento e di condanna al rilascio del bene si deve svolgere in contraddittorio con tutti i condòmini, stante la condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che incidono sul diritto pro quota di ciascun condomino, avente reale interesse a contraddire.
Cass., Sez. II civ., ord. 16.10.2019, n. 26208.
Viene chiesta la condanna di due proprietari al rilascio della parte di lastrico solare soprastante il loro appartamento, che essi avevano recintato trasformandolo in spazio di proprietà ad uso esclusivo. La corte d’appello riconosceva che l’area in questione, pur svolgendo la funzione di lastrico solare, costituiva pertinenza dell’appartamento sottostante e respingeva la domanda di rilascio. Ma per la Cassazione il lastrico è oggetto di proprietà comune dei diversi condòmini, in applicazione della presunzione sancita dall’art. 1117 cod. civ., ove non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo. Nemmeno il riaccorpamento, nel catasto, del lastrico all’appartamento può valere ad attribuirne la proprietà esclusiva, perché le annotazioni di dati nei registri catastali non costituiscono prove ma semplici indizi.
Cass., Sez. II civ., ord. 6.9.2019, n. 22339.
La parte sottostante il suolo su cui sorge il condominio va considerato di proprietà condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condòmini. Pertanto, nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all’escavazione in profondità del sottosuolo (nel caso: la pavimentazione della propria cantina) per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti. La Cassazione ha così confermato la condanna di una condomina che aveva abbassato il livello originario della pavimentazione della sua cantina, argomentando che “il suolo su cui sorge l’edificio”, di cui all’art. 1117 c.c., è non solo la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero fabbricato e dunque pure la parte sottostante di esso.
Cass., Sez. VI civ., ord. 18.11.2019, n. 29925.
Enel aveva allocato una cabina elettrica in un locale condominiale in forza di una convenzione con la cooperativa edilizia costruttrice dello stabile. Successivamente il condominio – successore della cooperativa costruttrice – aveva, in rapporto alla siglata convenzione, inoltrato all’Enel formale disdetta, e nondimeno l’Enel non aveva inteso darvi seguito. L’azienda è condannata alla rimozione della cabina sia in primo grado che in appello, e la condanna viene confermata anche dalla Cassazione con il seguente argomento:“la cabina elettrica non costituisce bene condominiale; è il locale ove la stessa è ubicata, che riveste tale qualifica, sicché la rimozione della cabina non può certamente integrare una innovazione del locale medesimo”.
Cass., Sez. VI civ., ord. 7.5.2019, n. 11971.
In una lite tra alcuni condòmini ed un terzo che aveva realizzato delle opere in un’area cortilizia di cui pretendeva essere proprietario, sia i giudici di merito che la Cassazione confermano la proprietà condominiale dell’area e l’obbligo di eliminare le opere illegittimamente realizzate. A tale conclusione la Cassazione giunge sulla base di una sentenza passata in giudicato tra le medesime parti, resa in un precedente giudizio avente ad oggetto l’esistenza di una servitù di scarico in favore dei condòmini, sicché era illegittima l’occupazione di tale area da parte del terzo.
Cass., Sez. II civ., ord. 6.11.2019, n. 28486.
Il contrasto è sorto per interventi di due condòmini sul cortile comune, sfociati in una condanna a rimuovere una tettoia edificata senza rispetto delle distanze legali ed a ripristinare una tubazione di scarico delle acque piovane. La Cassazione ha confermato la statuizione, osservando che l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere liberamente precostituito nel suo assetto, o modificato dall’originario proprietario, anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano. Queste operazioni determinano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 c.c.) e quindi l’insorgere del condominio, e, dall’altro lato, la costituzione, di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti. Non è necessario che la costituzione di una servitù risulti da un contratto, nei casi in cui questa possa, ad esempio, essere stata costituita dal “padre di famiglia”.
Cass., Sez. II civ., ord. 12.9.2019, n. 22773.
Una condomina commette alcuni illeciti nel cortile comune, in particolare abbattendo un forno ed appropriandosi della relativa area di sedime, aprendo un vano per accedere alla sua proprietà, modificando l’originario piano di scolo del cortile. Gli altri condòmini chiedono il ripristino dello stato dei luoghi nonché il risarcimento dei danni per il mancato utilizzo da parte loro della cosa comune. La Cassazione ribadisce che il giudice di merito deve attenersi al seguente principio: l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condomino è consentita quando la stessa non alteri l’equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro.
Cass., Sez. II civ., ord. 3.10.2019, n. 24720.
In caso di furto (nella fattispecie di due biciclette), il cortile condominiale, pur essendo parte comune, deve considerarsi pertinenza di luogo destinato anche solo in parte a privata dimora. La Cassazione ha confermato la qualificazione di un furto di biciclette che si trovavano incatenate all’interno di un cortile come “furto in abitazione”.
Cass., Sez. V pen., sent. n. 48908/2019.