Nell’ambito di una compravendita, occorre una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio.
È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 3273 dell’11 febbraio 2020, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 11.2.2020,
n. 3273
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1. La vicenda processuale trae origine dalla domanda proposta, innanzi al Tribunale di Agrigento, da C.F. e S.S., con la quale chiesero la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, concluso il 30.1.2004, con C.P. e L.M.; gli attori, in qualità di promittenti acquirenti, dedussero l’inadempimento dei convenuti, assumendo che parte del terreno oggetto del contratto fosse gravato da servitù in favore della Parrocchia … di Agrigento e sottoposto a procedura espropriativa da parte del Comune.
1.1. I convenuti si costituirono per resistere alla domanda e chiesero, in via riconvenzionale, dichiararsi la risoluzione del contratto per inadempimento dei promissari acquirenti e, conseguentemente, il loro diritto a trattenere la caparra.
1.2. Il Tribunale di Agrigento, con sentenza del 3-23.8.2008, dichiarò la risoluzione del contratto per mutuo dissenso delle parti, in considerazione del reciproco inadempimento.
1.3. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 20.6.2014, accogliendo l’appello di C.P. e L.M., riformò la sentenza di primo grado e dichiarò risolto il preliminare per inadempimento dei promissari acquirenti, riconoscendo il diritto dei promittenti venditori di trattenere la caparra.
La Corte d’appello ritenne che la sentenza di primo grado fosse viziata da ultrapetizione, in quanto nessuna delle parti aveva chiesto la risoluzione per mutuo consenso; soggiunse che, poiché i promittenti acquirenti non avevano proposto appello incidentale per chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento dei promittenti venditori, sul rigetto della domanda di inadempimento da essi proposta si era formato il giudicato.
La corte di merito valutò, pertanto, unicamente, il comportamento dei promittenti acquirenti e ritenne ingiustificato il loro rifiuto alla stipulazione del definitivo, in considerazione del fatto che il vincolo espropriativo riguardava una limitatissima estensione del terreno, pari a soli 10 mq su un’estensione di mq 3.336; in tale situazione, i promittenti acquirenti avrebbero potuto chiedere una riduzione del prezzo, sicché il rifiuto a contrarre era contrario ai doveri di buona fede nell’esecuzione del contratto.
2. Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso C.F. e S.S. sulla base di quattro motivi.
(omissis)
1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., poiché la Corte d’appello non avrebbe esaminato un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal comportamento inadempiente della parte venditrice. Affermano i ricorrenti che, nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora siano dedotti inadempimenti reciproci, il giudice deve esaminare i comportamenti di entrambi i contraenti e la loro incidenza sull’equilibrio sinallagmatico mentre il giudice d’appello non avrebbe fatto alcun riferimento alle condotte tenute dai promittenti venditori, i quali avrebbero taciuto la circostanza relativa all’esproprio del terreno e non avrebbero offerto una riduzione del prezzo.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 c.c. e 1385, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., poiché, nell’ipotesi di reciproci inadempimenti, la corte di merito avrebbe dovuto procedere ad una valutazione unitaria e comparativa dei comportamenti delle parti, in modo da stabilire su quale dei contraenti dovesse ricadere l’inadempimento colpevole idoneo a giustificare quello dell’altro. Inoltre, considerato che la risoluzione del contratto ha efficacia retroattiva tra le parti e determina, per entrambe, obblighi restitutori delle prestazioni già eseguite, sarebbe errata la pronuncia della corte d’appello nella parte in cui ha riconosciuto il diritto dei promittenti venditori di trattenere la caparra.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., in quanto avrebbe errato il giudice d’appello a ritenere viziata da ultrapetizione la pronuncia del giudice di primo grado, che aveva dichiarato risolto il contratto per mutuo consenso.
4. I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
3.1. È consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di entrambe le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cassazione civile sez. II, 30/05/2017, n.13627; Cassazione civile sez. III, 01/06/2004, n.10477).
3.2. Il giudice, anche ove venga proposta dalla parte l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum”, deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, deve ritenere che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460, secondo comma, c.c. (Cassazione civile sez. II, 06/09/2017, n.20846).
3.4. La corte di merito non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, in quanto ha omesso di valutare unitariamente il comportamento di entrambe le parti e la loro incidenza sul sinallagma contrattuale, partendo dall’erronea affermazione che sull’inadempimento dei promittenti acquirenti si fosse formato il giudicato, in quanto i medesimi non avevano impugnato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la risoluzione del contratto per mutuo dissenso. Tale indagine era, invece, necessaria ai fini del giudizio, in quanto le parti avevano dedotto inadempimenti reciproci, sicché il giudice di merito era tenuto a vagliare la funzione economico-sociale del contratto e l’interesse perseguito dalle parti, indipendentemente dalla posizione processuale assunta dai promittenti acquirenti nel giudizio d’ appello.
3.5. Non era pertanto necessaria la proposizione dell’appello incidentale, al fine dell’accertamento dell’inadempimento della controparte, rientrando nel compito del giudice d’appello la valutazione dei comportamenti di entrambe le parti, al fine di stabilire se fosse giustificato il rifiuto dei ricorrenti a concludere il contratto definitivo.
3.6. Né conduce a diverse conclusioni il rilievo difensivo del contro ricorrente che, senza peraltro trascrivere la domanda, ha dedotto di aver esercitato il recesso dal contratto preliminare, in quanto la disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 1385 c.c., in tema di recesso per inadempimento, nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente. Pertanto nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se e a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio (Cassazione civile sez. II, 08/08/2019, n.21209).
3.5. La sentenza va, pertanto cassata e la causa rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, che si atterrà al seguente principio di diritto: “nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di entrambe le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma”.
(omissis)
Accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.