Anche se il contratto stipulato impone al comodatario di far liberamente e a qualunque ora accedere il proprietario all’appartamento che gli ha concesso in comodato, è legittimo l’esercizio, da parte del comodatario, dello jus excludendi, nei confronti dei terzi, a tutela dell’inviolabilità del domicilio, stante la legittima detenzione del bene attuata mediante la sua consegna e l’utilizzo esclusivo del bene dal contratto derivante.
È quanto rimarcato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 24448/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 24448/2019
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1. Con la sentenza del 25 ottobre 2016, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città del 14 ottobre 2014, ha assolto B.M. dal delitto di ingiuria – per non essere il fatto previsto dalla legge come reato -, con conferma del riconoscimento della responsabilità dell’imputato per il delitto di violazione di domicilio, commesso il 26 luglio 2008, in pregiudizio di N.F., cui aveva concesso in comodato un appartamento di sua proprietà, all’interno del quale si era introdotto, in tarda ora serale, facendo uso delle chiavi in suo possesso e scacciando gli ospiti del comodatario.
2. Nell’interesse del B.M. ricorre in Cassazione per l’annullamento della sentenza di appello il difensore, affidando l’impugnativa a due motivi:
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 614 cod.pen., sul rilievo che il contratto di comodato, con il quale l’imputato aveva concesso il godimento dell’immobile di sua proprietà alla parte offesa, prevedeva l’obbligo, in capo al comodatario, di far accedere il comodante nell’immobile concesso in godimento in qualsiasi giorno ed ora senza alcun preavviso, con la conseguenza che il B.M., introducendosi in esso, non aveva fatto altro che esercitare il proprio diritto;
(omissis)
(omissis)
3.2. Accertato, quindi, il fatto ascritto all’imputato, nei termini dell’essersi egli introdotto, senza il consenso del comodatario, all’interno dell’immobile concesso in godimento ed adibito dal titolare di diritto di uso a privata dimora, la quaestio iuris se integri il delitto di violazione di domicilio l’introduzione del proprietario nell’immobile concesso in comodato, nell’ipotesi in cui il comodatario si sia contrattualmente impegnato a fare accedere il comodante nell’immobile in ogni momento e senza preventivo avviso, è infondata.
Premesso che l’interesse giuridico tutelato dall’artt. 614 cod. pen. va individuato nella libertà della persona, colta nella sua proiezione spaziale, rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita l’inviolabilità, conformemente al precetto di cui all’art. 14 Cost. – che attribuisce al domicilio le stesse garanzie della libertà personale, previste dall’art. 13 Cost., alla cui disciplina il comma secondo della norma menzionata rinvia per le sole eccezioni consentite – e alla disposizione di cui all’art. 8, par. 1, CEDU, va ribadito che il soggetto passivo del delitto di violazione di domicilio è da individuare in chi, per avere la disponibilità esclusiva di uno spazio nel quale si esplica la propria personalità individuale in piena libertà, ha la titolarità del diritto di vietare a terzi l’ingresso o la permanenza in esso, che viene ad identificarsi in uno dei luoghi presi in considerazione dalla norma penale citata. In tal senso, in effetti, si è espressa la giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito come, per individuare il titolare dello jus excludendi omnes alios, occorre avere riguardo al contenuto del diritto alla libertà del domicilio, che non è astrattamente predeterminato ma è variabile ed è definibile solo in concreto, in ragione dell’effettivo atteggiarsi della relazione tra il soggetto ed il bene scelto come abitazione o luogo ad essa equiparabile (Sez. 5, n. 42806 del 26/05/2014).
In questa prospettiva interpretativa, dunque, il legittimo esercizio dello jus excludendi, proprio in ragione della definizione di domicilio quale luogo di privata dimora dove si esplica liberamente la personalità del singolo, presuppone l’esistenza di una situazione di fatto che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità (Sez. 5, n. 47500 del 21/09/2012). Ne viene che il detto diritto deve, allora, senz’altro riconoscersi oltre che al legittimo proprietario dell’immobile, che vi abbia stabilito il proprio domicilio, anche ai possessore o al detentore del bene, sempre che questi ivi vi abbiano la loro privata dimora, stante il diverso atteggiarsi delle molteplici relazioni potenzialmente intercorrenti tra il bene prescelto come dimora ed il soggetto che ha operato la relativa scelta.
Al lume di tale criterio ed avuto riguardo alle modalità con cui si è svolto il rapporto tra il comodante e il comodatario – disciplinato da apposito contratto, indicativo della previsione di un’apprezzabile durata della permanenza del comodatario all’interno del luogo scelto come abitazione, siccome è desumibile dalla sentenza di primo grado cui è consentito fare richiamo in virtù del principio di reciproca integrazione delle pronunce di merito, che si saldano tra loro per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame abbiano concordato nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013), non vi è dubbio che la parte offesa N.F. nell’immobile concessogli in uso dal B.M. avesse fissato il proprio domicilio, dal quale, dunque, egli poteva legittimamente escludere gli estranei, ivi compreso il proprietario dell’alloggio. Il quale, peraltro, sulla base della stessa interpretazione letterale della clausola contrattuale richiamata dalla sua difesa (“obbligo del comodatario di fare accedere il comodante”), non aveva alcun diritto di introdursi e di trattenersi all’interno dell’immobile concesso in comodato, tanto essendogli possibile solo ove il comodatario lo avesse consentito, adempiendo, in tale guisa, all’obbligo negozialmente assunto.
In tal senso, del resto, si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte affermando che è legittimo l’esercizio, da parte del comodatario, dello jus excludendi, nei confronti dei terzi, a tutela dell’inviolabilità del domicilio in capo al comodatario, stante la legittima detenzione del bene attuata mediante la sua consegna e l’utilizzo esclusivo del bene dal contratto derivante (Sez. 5, n. 29093 del 30/01/2015): ciò, perché, in virtù del tipo di contratto di cui all’art. 1803 cod.civ., il comodatario acquisisce la detenzione qualificata della cosa, divenendo titolare di un diritto personale di godimento sul bene, avente come contenuto l’uso esclusivo del bene per gli scopi determinati dal contratto o dalla natura della cosa, cui corrisponde, nel comodante, la perdita del godimento e dell’uso della cosa stessa dal momento della consegna al comodatario.
3. In ragione di quanto sin qui argomentato s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, e il rigetto del ricorso agli effetti civili, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di parte civile del grado che liquida in Euro 2.000 oltre accessori di legge.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di parte civile del grado che liquida in Euro 2.000 oltre accessori di legge.