Quando il “macho” furibondo scatena il putiferio in condominio
Con l’ordinanza 53300/2018, di cui riportiamo un estratto, la Cassazione conferma la condanna a carico di un uomo che con urla, schiamazzi, litigi e perfino minacce di morte rivolte agli altri condòmini, aveva turbato la quiete dello stabile condominiale. Di seguito un sintesi della focosa vicenda.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 53300/2018
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Ritenuto:
- che il Tribunale di Trieste, con sentenza del 17/03/2017, ha condannato P.D. alla pena di euro 200 di ammenda per il reato di cui all’art. 659 cod. pen. perché disturbava la quiete del condominio sito in via …;
- che avverso detta sentenza ha proposto appello l’imputato, poi trasmesso a questa Corte, deducendo con un unico motivo l’insussistenza di elementi idonei a provare la riconducibilità allo stesso delle condotte moleste lamentate dalle persone offese, non essendo emerso con certezza dalle dichiarazioni dei testi M. e M. che l’individuo di sesso maschile che dopo essersi trasferito nell’abitazione della sig.ra O. produceva rumori notturni fosse l’imputato;
- che in occasione dei sopralluoghi effettuati da parte delle forze dell’ordine il P.D. aveva avuto sempre una condotta calma oppure era del tutto assente dall’abitazione, essendosi limitato in una singola occasione a dare dei calci alla porta al fine di recuperare degli effetti personali all’interno dell’abitazione della sig.ra O. che si rifiutava di aprirgli la porta, circostanza inidonea ad integrare il reato contestato;
- che inoltre all’imputato non è rimproverabile alcun omesso controllo del cane presente nell’abitazione in cui viveva, non essendo lo stesso di sua proprietà, bensì della convivente;
- che l’appello deve essere anzitutto convertito in ricorso per cassazione ex art. 568, comma 5, cod. proc. pen., stante l’inappellabilità della sentenza impugnata;
- che il ricorso è inammissibile perché, oltre ad essere impostato in termini ipotetici e generici, appare comunque volto, in contrasto con i principi più volti affermati da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007), a pretendere una rilettura degli elementi probatori già correttamente e logicamente valutati dal giudice d’appello;
- che, sul punto della riconducibilità delle condotte moleste la sentenza ha correttamente richiamato le dichiarazioni rese dai testi M. e M., abitanti del condominio, e di S., carabiniere intervenuto in occasione di un malore dell’imputato, dalle quali sarebbe chiaramente emerso come dal momento in cui un individuo di sesso maschile, identificato nell’imputato, si era trasferito nel condominio di via …, fossero iniziati i disturbi tra cui urla notturne e continui spostamenti di mobili e di come egli avesse minacciato di morte gli altri condòmini;
- che tale motivazione, in quanto logica ed esaustiva, non è qui sindacabile;
- che il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile;
- che, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7 -13 giugno 2000, n. 186) segue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, di euro 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 3.000 alla Cassa delle ammende.