Condannata la condotta di un uomo il quale “con radio a tutto volume e perfino colpi sui muri” aveva reso la vita impossibile ai vicini di casa. Inutile la difesa in Cassazione dell’imputato, che aveva cercato di scagionarsi sostenendo che la moglie fosse affetta da ipoacusia e dunque costretta ad ascoltare musica a volume superiore al normale.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 25153/2020
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Il difensore di V.B. ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe, emessa nei confronti del suo assistito dalla Corte di appello di Bologna: la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato riguarda reati di cui agli artt. 612-bis e 659 cod. pen..
La difesa lamenta violazione di legge e carenze motivazionali della sentenza impugnata, rappresentando che:
Il ricorso appare inammissibile, per manifesta infondatezza e genericità dei motivi.
Le doglianze riproducono infatti ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e per costante giurisprudenza il difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011). Già in precedenza, e nello stesso senso, si era rilevato che «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Cass., Sez. VI, n. 20377 dell’11/03/2009).
La difesa, in particolare, ribadisce acriticamente gli assunti di cui sopra malgrado la Corte territoriale abbia già evidenziato che:
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di euro 3.000, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti e del quadro di riferimento normativo conseguente alla novella di cui alla legge n. 103/2017.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.