Un’assemblea condominiale piuttosto animata. Un condomino che ne spinge un altro, il quale perde l’equilibrio travolgendo una terza condomina, che cade, urta contro un cordolo di marmo e si ferisce. A carico del primo, scatta il reato di lesioni volontarie, poi derubricato in lesioni colpose e confermato in via definitiva dalla Cassazione. Ecco la ricostruzione della vicenda giudiziaria.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. IV pen., sent. n. 31633/2018
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1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza resa in data 2 febbraio 2017, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Trani, il 31 ottobre 2012, aveva condannato S.C. per il reato di lesioni colpose in danno di V.G., così diversamente qualificato il reato di lesioni volontarie a lui originariamente ascritto.
Il fatto oggetto del processo si verificava in Bisceglie il 18 settembre 2009, durante un’assemblea condominiale nel corso della quale si accendeva un diverbio tra il C. e la V.: il primo lamentava di essere stato denunciato per abusi edilizi dal marito della seconda; quest’ultima faceva per allontanarsi, ma un altro condomino, tale L.N., le si avvicinava per convincerla a restare; nelle fasi seguenti, il C. strattonava il L. facendogli perdere l’equilibrio e in conseguenza di ciò il L. rovinava addosso alla V., che cadeva a terra urtando contro un cordolo di marmo e procurandosi così le lesioni di cui in rubrica.
Nel giudizio d’appello, la Corte di merito ha disatteso le sollecitazioni dell’imputato appellante, tese a denunciare in primo luogo la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 cod. proc. pen.; in secondo luogo a contestare la ricostruzione posta a base della condanna in primo grado, con riferimento all’asserita aggressione al L.; in terzo luogo a lamentare il mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa nei riguardi dello stesso L.
2. Avverso la prefata sentenza d’appello ricorre il C., tramite il suo difensore di fiducia. Il ricorso, preceduto da un’ampia ricostruzione delle fasi precedenti del giudizio e dalla testuale riproposizione dei motivi d’appello, è in concreto articolato in un unico motivo, teso a lamentare violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto (oggetto del secondo motivo d’appello) che in realtà il C. non aveva mai spinto il L. addosso alla V.; e al fatto (oggetto del terzo motivo d’appello) che il L. era stato strattonato dal C. al solo ed esclusivo motivo di non vedersi sbarrato il passo, e dunque – sostiene il ricorrente – in presenza della scriminante della legittima difesa.
1. Il ricorso, palesemente finalizzato a sollecitare una rivisitazione del materiale probatorio demandata in via esclusiva ai giudici di merito e sottratta al sindacato di legittimità, è inammissibile.
La questione se il L. fosse stato spinto, spostato o strattonato (dal petto, secondo la ricostruzione fornita dalla V.), sulla quale si attarda il ricorrente, appare priva di rilievo ai fini della ricostruzione dei fatti e della configurazione del delitto di lesioni colpose in capo al C.: ciò che conta è che l’odierno ricorrente, nell’intento di permettere a se stesso e alla moglie di avvicinarsi alla V. (nei cui confronti la moglie dell’odierno ricorrente aveva preso a inveire), abbia impresso sulla persona del L. una forza tale da fargli perdere l’equilibrio, farlo cadere addosso alla V. e provocare la caduta di quest’ultima.
Dalla lettura congiunta delle due sentenze (che, trattandosi di doppia conforme, costituiscono come noto un unicum motivazionale) emerge che il L. si era frapposto fra la V. e la moglie del C., probabilmente per evitare che quest’ultima aggredisse la V.; e che il C. spostò lateralmente il L. per impedire che costui sbarrasse il passo a se stesso e alla moglie e per avvicinarsi alla V., esercitando così una violenza causalmente rilevante nel prodursi dell’evento lesivo.
Il C. sicuramente non voleva provocare la caduta del L. addosso alla V., ma – che si trattasse di una spinta, oppure di uno strattone per spostarlo lateralmente – il fatto che il L. potesse perdere l’equilibrio e rovinare addosso ad altre persone (con conseguenze potenzialmente lesive, come poi accadde) rientrava all’evidenza nei canoni dell’ordinaria prevedibilità.
(omissis)
Nella sequenza in esame, piuttosto che un’ipotesi di costringimento fisico ex art. 46, comma 2, cod. pen. (ipotesi che non sembra attagliarsi al caso in esame, atteso che essa si riferisce piuttosto alla fattispecie del soggetto coartato che è ridotto a longa manus dell’autore reale), potrebbe semmai ravvisarsi una condotta materiale corrispondente a un reato mai contestato, ossia al delitto di percosse mediante uno strattone o una spinta al L. (cfr. Sez. 5, n. 51085 del 13/06/2014) e/o a quello di violenza privata in danno dello stesso L. (allo scopo di costringerlo fisicamente a lasciare il passo libero), dalla quale è derivato un evento non corrispondente alla volontà del soggetto attivo e in danno di altra persona (le lesioni in danno della V.), secondo uno schema per certi versi rapportabile sia all’aberratio ictus (con riferimento alla diversità della persona offesa rispetto a quella cui si era rivolta la condotta del soggetto attivo), sia all’aberratio delicti (con riferimento all’evento diverso da quello voluto).
Nei fatti, la sequenza causale è riducibile a una condotta materiale sicuramente caratterizzata da un’azione (esercizio di forza fisica nei riguardi di una persona) dalla quale è scaturito l’evento lesivo non voluto (la caduta di quest’ultima addosso ad altra persona rimasta ferita) ma, per quanto detto, non imprevedibile.
Trattasi di una sequenza causale che, pur nella sua peculiarità, risponde ai criteri di imputazione propri della causalità colposa, nei termini e per le ragioni che si sono dianzi riassunti.
(omissis)
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.