Al vaglio della Cassazione (con l’ordinanza 18082/2019, di cui riportiamo un estratto) un caso in cui il regolamento condominiale prevede soltanto l’uso residenziale abitativo. Nella specie il condomino-medico può comunque visitare i pazienti in un locale del proprio appartamento, in quanto l’uso dell’alloggio si configura come promiscuo e in dato che l’attività del medico non è assimilabile ad altre attività, invasive rispetto alle esigenze abitative degli altri compartecipi, vietate dal regolamento condominiale.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI-2 civ., ord. 5.7.2019,
n. 18082
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1. Con sentenza depositata il 31/01/2011 il tribunale di Termini Imerese ha dichiarato cessata la materia del contendere tra il condominio … e A.A.; ha dichiarato inammissibile l’intervento della condomina P.P.; ha rigettato la domanda proposta in via di intervento adesivo autonomo dal condomino S.G. volta ad ottenere dichiarazione di illegittimità dell’adibizione di una stanza dell’appartamento abitato da A.A. e dalla propria famiglia a studio medico, per asserita violazione di clausola di regolamento contrattuale di condominio che consente “soltanto l’uso residenziale abitativo” e vieta quindi “a titolo esemplificativo… le attività commerciali, le esalazioni nocive, le immissioni di fumi, gas, scarichi, rumori…”. Il tribunale ha ritenuto che l’uso di una stanza come luogo di visita di occasionali pazienti, non costituendo un’infrastruttura logistica, non sarebbe vietato da detta clausola, posto anche che l’interpretazione contraria comporterebbe un’abnorme limitazione dei diritti del proprietario del singolo appartamento nella sistemazione del proprio alloggio e nelle proprie relazioni.
Con sentenza depositata il 22/02/2017 la corte d’appello di Palermo ha accolto l’appello principale di S.G. e P.P., con assorbimento di quello incidentale di A.A. in tema di spese. Ha ritenuto la corte d’appello il sussistere della violazione del regolamento condominiale, “a nulla rilevando che la destinazione diversa da quella abitativa, sia stata parziale, attesa la natura assoluta del divieto posto dal regolamento… e il carattere meramente esemplificativo delle attività vietate”.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A. su due motivi. Non hanno svolto difese gli intimati.
(omissis)
1. Il primo mezzo di ricorso, che propone censure per violazione di legge sostanziale in riferimento all’art. 1138 c.c., agli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. e all’art. 832 c.c., è manifestamente fondato, con assorbimento degli altri profili, nonché del secondo motivo vertente in tema di regolazione delle spese processuali.
2. Come sopra rilevato, prendendo le distanze dalla sentenza del tribunale, la corte territoriale con la decisione impugnata, di fronte a clausola di regolamento contrattuale di condominio che consente “soltanto l’uso residenziale abitativo” e vieta quindi “a titolo esemplificativo… le attività commerciali, le esalazioni nocive, le immissioni di fumi, gas, scarichi, rumori” ha ritenuto preclusa l’adibizione di una parte dell’appartamento abitato dalla famiglia di una professionista sanitaria a studio medico della professionista stessa. Ha ritenuto la corte d’appello il sussistere della violazione del regolamento condominiale, “a nulla rilevando che la destinazione diversa da quella abitativa sia stata parziale, attesa la natura assoluta del divieto posto dal regolamento… e il carattere meramente esemplificativo delle attività vietate”.
3. Nel governare l’utilizzo dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. e applicare l’art. 1138 c.c., la corte d’appello è effettivamente caduta in errore. La corte, da un lato, ha infatti accertato fattualmente la destinazione limitata di una stanza a studio medico; d’altro lato, ha escluso in via complementare che si trattasse di un vero e proprio ambulatorio. Su tali basi, la corte locale ha in pratica limitato la propria opera interpretativa della nozione di “uso residenziale abitativo” alla reiezione non esplicata della possibilità che in esso fossero ricompresi usi promiscui compatibili con la funzione dell’abitare (“a nulla rilevando che la destinazione diversa da quella abitativa sia stata parziale”); ha poi tratto dalla natura esemplificativa dell’elencazione delle attività espressamente vietate la conclusione della sostanziale irrilevanza dell’elencazione stessa (che, eventualmente, alla luce dell’indicazione di attività seriamente invasive rispetto alle esigenze abitative degli altri compartecipi – “attività commerciali,… esalazioni nocive,… immissioni di fumi, gas, scarichi, rumori” – avrebbe potuto guidare l’interprete verso approdi diversi.
4. Così operando la sentenza impugnata si è posta contro i principi giurisprudenziali elaborati da questa corte in tema di ambito applicativo del regolamento condominiale ex art. 1138 c.c. e di uso dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. in materia di clausole di regolamento di divieto di destinazione delle unità immobiliare a determinati usi (cfr., ad es., Cass. n. 19229 del 11/09/2014 circa i criteri ermeneutici generali in materia; n. 21307 del 20/10/2016, circa il doversi rifuggire da interpretazioni estensive; n. 9564 del 01/10/1997 circa l’esigenza di incontrovertibilità delle disposizioni di divieto). Dovendo dunque accogliersi il ricorso nei sensi di cui innanzi, in sede di riesame il giudice di rinvio dovrà ampliare la propria opera interpretativa della nozione di “uso residenziale abitativo”, valutando in particolare se in esso siano ricompresi usi promiscui – quale quello definitivamente accertato – compatibili con la funzione dell’abitare e se, stante l’elencazione delle attività espressamente vietate, seriamente invasive rispetto alle esigenze abitative degli altri compartecipi – “attività commerciali,… esalazioni nocive,… immissioni di fumi, gas, scarichi, rumori” – sia da ritenersi proscritta quella in esame.
5. In definitiva il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla corte d’appello di Palermo in diversa sezione anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità.
la corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Palermo, in diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.