Configura il reato di appropriazione indebita il comportamento dell’amministratore condominiale che non corrisponda al suo successore le somme residuate all’esito delle spese sostenute. Con l’ordinanza 24116/2020, di cui riportiamo un estratto, la Cassazione conferma dunque la condanna già emessa dalla Corte d’Appello.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 24116/2020
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1. I motivi di ricorso sono inammissibili, ai sensi dell’art. 606, comma 3, 581, 591, cod. proc. pen., per loro manifesta infondatezza ed assoluta genericità, avendo il ricorrente omesso ogni dovuto confronto con la puntuale motivazione della sentenza impugnata.
1.1. La Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha qualificato in termini di appropriazione indebita i fatti accertati, valorizzando aspetti inequivoci della condotta, peraltro ammessa in fatto al cospetto del nuovo amministratore di condominio. L’imputato ha infatti omesso di corrispondere al nuovo amministratore le somme (niente affatto irrisorie) residuate all’esito delle spese sostenute.
La consistenza del danno patrimoniale provocato e la durata della condotta, protrattasi nel corso del rapporto fiduciario hanno indotto la Corte a ritenere non ravvisabili gli estremi della particolare tenuità dell’offesa, rilevante ai sensi della particolare causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.. Con tali argomentazioni il ricorrente in concreto non si confronta, limitandosi a riproporre una diversa lettura in fatto delle evidenze processuali e ribaltando sul tavolo della legittimità i medesimi motivi di doglianza espressi nella sede di merito.
1.2. Questa Corte ha già in più occasioni avuto modo di evidenziare che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013), e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014). Più in particolare, si è ritenuto «inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009).
2. Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro tremila.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.