La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso proposto da un professionista rimosso dall’incarico a domanda di una condomina, ribadendo tuttavia, tra gli altri importanti principi di diritto, che la revoca giudiziale non comprime definitivamente il diritto dell’amministratore di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione”. Di seguito un estratto dell’ordinanza 23743/2020 di Cassazione.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 28.10.2020,
n. 23743
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(omissis)
Gli elementi offerti dal ricorrente non inducono a mutare l’orientamento di questa Corte sulla questione di diritto posta.
V.1. Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dagli art. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (omissis).
Non sono dunque ammissibili avverso il decreto in tema di revoca dell’amministratore di condominio le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere di discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129, comma 12, c.c., ovvero la
valutazione dei presupposti legittimanti la statuizione di cessazione della materia del contendere, o, ancora, l’omesso esame di elementi istruttori che avrebbero diversamente potuto determinare il giudice del merito nella declaratoria della soccombenza virtuale (cfr. in termini Cass. Sez. 2, 06/05/2005, n. 9516).
V.2. Va ribadito come il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla corte d’appello (art. 64 disp. att. c.p.c.) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status” (omissis).
Ne consegue che il decreto con cui la corte d’appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non è, come detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (omissis), ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673).
Il decreto con cui la Corte d’Appello rigetti, come nella specie, il reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111, comma 7, Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, né il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico.
Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di revoca resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può perciò costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo anche la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato (omissis).
V.3. A fronte delle considerazioni addotte dal ricorrente, va riaffermato che il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, ai sensi degli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att., c.c., costituisce un provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto sostitutivo della volontà assembleare ed ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi tipiche di compromissione della stessa.
L’art. 1129 c.c. affida la titolarità del potere di revoca solamente all’assemblea, mentre la revoca disposta dall’autorità giudiziaria ha un esplicito carattere sanzionatorio, sicché, rispetto ad essa, il ruolo del singolo condomino è esclusivamente di impulso procedimentale. Pur incidendo sul rapporto di mandato tra condòmini ed amministratore, il decreto di revoca non ha, pertanto, carattere decisorio, non precludendo la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, relativa al diritto su cui il provvedimento incide (omissis).
La deduzione che la revoca ex artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.c. si riverbera sul rapporto intercorrente tra tutti i condòmini e l’amministratore neppure convince circa la decisorietà, e, quindi, l’attitudine al giudicato, del provvedimento, agli effetti del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. È, invero, caratteristica frequente dei procedimenti camerali plurilaterali, nei quali l’intervento giudiziale è pur sempre diretto all’attività di gestione di interessi, l’incidenza su un diritto altrui dell’esercizio, da parte del giudice, di un potere gestorio (si pensi all’analogo decreto della corte d’appello che decide sul reclamo avverso il provvedimento del tribunale reso ai sensi dell’art. 2409 c.c., parimenti non impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.), restando consentito al titolare del diritto di chiedere la tutela giurisdizionale a cognizione piena del diritto inciso.
Proprio il richiamo dell’art. 1726 c.c. scolpisce le differenze con la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio: il procedimento ex artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. legittima anche uno solo dei condòmini a rivolgersi al tribunale, anticipando la deliberazione dell’assemblea condominiale eventualmente inerte o persino in contrasto con una già espressa volontà della maggioranza dei condòmini, per chiedere la rimozione dell’amministratore, unico legittimato a contraddire; la revoca di un mandato collettivo (quale quello conferito all’amministratore dai condòmini in esecuzione della delibera di nomina) supporrebbe, altrimenti, o il comune accordo di tutti i mandanti, ex art. 1726 c.c., oppure una pronuncia giudiziale di risoluzione idonea al giudicato nel litisconsorzio necessario di tutte parti del rapporto contrattuale plurisoggettivo, concettualmente unico e inscindibile.
Anche dopo le modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, rimane perciò da confermare la mancanza di attitudine al giudicato del provvedimento con cui il tribunale pone termine ante tempus al rapporto tra amministratore e condòmini. Non è determinante in senso contrario il disposto del comma 13 dell’art. 1129 c.c., in forza del quale “in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato”. Il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal tribunale (peraltro esterno al rapporto processuale determinato dal procedimento camerale di revoca, il quale intercorre unicamente tra il condomino istante e l’amministratore, senza imporre e nemmeno consentire l’intervento dei restanti: cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 21/02/2020, n. 4696) è temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione.
Il divieto di nomina posto dal riformato art. 1129, comma 13, c.c. funziona, in realtà, nei confronti dell’assemblea, precludendole di rendere inoperativa la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale (e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca). Anche tale divieto non oblitera perciò il tipico connotato di provvisorietà ed intrinseca modificabilità dei provvedimenti giudiziari camerali in tema di nomina e revoca dell’amministratore di condominio, lasciando all’amministratore revocato la facoltà di avvalersi della tutela giurisdizionale piena in un ordinario giudizio contenzioso a fini risarcitori.
Infine, che il provvedimento di revoca debba essere adottato “sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente” (art. 64, comma 1, disp. att., c.c.) non è affatto indizio contrastante con la natura di volontaria giurisdizione del procedimento, come suppone il ricorrente, atteso che nei procedimenti camerali di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale deve comunque essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio.
(omissis)
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.