Con la sentenza 24471 del 1° ottobre 2019, di cui riportiamo un estratto, la Corte di Cassazione fa il punto in una materia complessa, disciplinata da norme codicistiche, piani regolatori, legislazione antisismica, quale è quella relativa alle distanze minime tra edifici.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., sent. 1.10.2019,
n. 24471
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Z.L. (e altri), proprietari di un complesso immobiliare in …, chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Milano la F. s.r.l., lamentando, per quanto ancora interessa in questa sede, che la convenuta aveva realizzato uno stabile sul fondo confinante, al civico …, in violazione delle distanze tra costruzioni.
Si costituiva la F. s.r.l. e il contraddittorio era esteso al Condominio di viale … e ai proprietari delle singole unità immobiliari.
Si costituivano A.N. (e altri), facendo proprie la difese della F. s.r.l. e comunque chiedendo di essere dalla stessa F. s.r.l. garantiti in caso di soccombenza.
(omissis)
Il tribunale accertava la violazione delle distanze per le parti dell’edificio di viale … poste a meno di metri 10 dalla parete lato nord degli edifici degli attori, e ne ordinava conseguentemente la demolizione; accoglieva la domanda di manleva proposta dai condòmini contro la società costruttrice.
Contro la sentenza proponevano appello il Condominio di via …, la F. s.r.l. e condòmini già costituiti in primo grado, ad eccezione di (omissis).
La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza.
Per la cassazione della sentenza F. s.r.l. ha proposto ricorso principale affidato a quattro motivi.
A.N. (e altri) hanno aderito al secondo, al terzo e al quarto dei motivi di cassazione dedotti dalla ricorrente F. s.r.l. in liquidazione e a loro volta hanno proposto con ricorso incidentale affidato a due motivi.
Hanno resistito con controricorso Z.L. (e altri), che hanno depositato controricorso al ricorso incidentale.
(omissis)
(omissis)
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444 del 1968.
Le pareti dell’edificio realizzato dalla F. s.r.l. e della palazzina degli attori non si fronteggiano, essendovi uno sfalsamento di 0,73 cm. Si sottolinea che gli attori hanno costruito in aderenza alla parete del lato nord del capannone industriale dei signori Z.; poi una volta raggiunta l’altezza del colmo del capannone con la costruzione del piano pilotis, l’edificio è arretrato rispetto al confine. In conseguenza di tale arretramento la parete finestrata si trova a una distanza che in nessun punto è inferiore a mt. 5,05 del muro nord dal capannone degli Z., e cioè dalla linea di confine fra le due proprietà, non essendo quindi configurabile la violazione dell’art. 9, n. 2, del D.M. n. 1444 del 1968.
(omissis)
2. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia falsa applicazione dell’art. 9, comma 2, del d.m. 1444 del 1968.
Si sottolinea che gli attori hanno costruito in aderenza alla parete del lato nord del capannone industriale dei signori Z.; poi una volta raggiunta l’altezza del colmo del colmo del capannone con la costruzione del piano pilotis, l’edificio arretra e la parete finestrata si trova a distanze che in nessun punto è inferiore a mt. 5,05 del muro nord dal capannone degli Z., e cioè dalla linea di confine fra le due proprietà.
Conseguentemente di fronte alla parete dell’edificio realizzato da F. s.r.l. in liquidazione che si affaccia sul fondo dei signori Z. non si trova alcuna parete.
La carenza di tale presupposto rendeva inapplicabile la norma del d.m. 1444 del 1968.
(omissis)
4. Il secondo motivo del ricorso principale è fondato.
La Corte d’appello di Milano, nell’esame della fattispecie, ha riconosciuto che, nella specie, l’intervento edilizio realizzato dalla F. s.r.l. doveva avvenire secondo la previsione dell’art. 9, n. 2, del d.m. 2 aprile 1968, recepito dalle NTA del Piano regolatore generale del Comune di Milano, approvato il 26 febbraio 2000.
In relazione a tale norma – che impone una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti – la corte d’appello ha richiamato principi consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, sui quali non è il caso di soffermarsi: la norma è integrativa della disciplina del codice civile sulle distanze; non è derogabile in sede locale (Cass. n. 1556/2005; n. 19554/2009); il giudice ha la potestà di disapplicare la norma regolamentare difforme ed applicare le distanze previste dal d.m. 1444 quale norma di relazione immediatamente efficace nei rapporti fra privati (Cass., S.U. n. 14953/2011).
La corte, quindi, è passata dal piano dei principi a quello della fattispecie concreta, rilevando innanzitutto che «il rispetto della distanza di 10 metri non può escludersi nel caso in esame in considerazione del fatto che gli edifici non potrebbero considerarsi “antistanti”».
Al fine di giustificare tale affermazione ha ritenuto di poter trovare appiglio nel principio secondo il quale la “distanza fra pareti di edifici antistanti, prevista dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e tutte le pareti finestrate, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7731)”.
Quindi ha richiamati i principi di giurisprudenza sui punti di misurazione delle distanze, per concludere perentoriamente che, nel caso di specie, alla luce delle misurazioni effettuate dal consulente tecnico, «la distanza tra l’edificio eretto dalla F. s.r.l. e quello di proprietà degli appellati non rispetto la distanza di dieci metri, il che rende evidente l’esistenza della violazione in cui F. s.r.l. è incorsa sotto il profilo in esame».
5. Secondo la ricostruzione della sentenza impugnata la proprietà Z. consiste «in un complesso edilizio a destinazione residenziale ed artigianale collocato in fregio alla via …, che occupa quindi la parte nord ovest del lotto e da un secondo edificio a destinazione artigianale, che si innesta ad angolo retto ed occupa il suo lato lungo il rimanente confine nord».
Si può dare per acquisito:
a) che F. s.r.l. ha costruito in aderenza rispetto al muro dell’edificio a destinazione artigianale per poi realizzare le pareti finestrate a distanza inferiore a 10 metri dal muro su cui ha costruito in aderenza;
b) che la parete finestrata è stata edificata dalla F. s.r.l. interamente sul lato nord dell’edificio di fronte all’edificio a destinazione artigianale, posto sul confine fra i due lotti e sul cui muro avanzato la F. s.r.l. ha costruito in aderenza per tutta la sua altezza;
c) che le pareti finestrate sono state edificate in arretramento rispetto a tale muro: si legge nella sentenza che l’edificio eretto dalla F. s.r.l. edificate in posizione arretrata «a partire dal primo piano fuori terra (alla quota di + mt. 5,20) e per i successivi, per una lunghezza di mt. 13 sul totale di mt. 24 di lunghezza»;
d) che fra le facciate finestrate dell’edificio la facciata finestrata del fabbricato degli originari attori esiste uno sfasamento di 0,72 cm.
6. L’art. 9 del d.m. 1444/68 prescrive la distanza minima tra parete e parete finestrata. È pacifico che l’art. 9 è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata (Cass., S.U., n. 1486/1997; n. 1984/1999) e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del muovo edificio o dell’edificio preesistente (Cass. n. 13547/2011), o che si trovi alla medesima altezza o diversa altezza rispetto all’altro (Cass. n. 8383/1999).
Finalità della norma è la salvaguardia dell’interesse pubblico sanitario a mantenere una determinata intercapedine fra gli edifici che si fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata (Cass. n. 20574/1997). La «antistanza» va intesa come circoscritta alle porzioni di pareti che si fronteggiano in senso orizzontale. Nel caso in cui i due edifici siano contrapposti solo per un tratto (perché dotati di una diversa estensione orizzontale o verticale, o perché sfalsati uno rispetto all’altro, il giudice che accerti la violazione delle distanze deve disporre la demolizione «fino al punto in cui i fabbricati si fronteggiano» (Cass. n. 4639/1997).
La Suprema Corte ha osservato che, ai fini dell’art. 9 del d.min. n. 1444/68, due fabbricati, per essere antistanti, non devono essere necessariamente paralleli, ma possono fronteggiarsi con andamento obliquo, purché «fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento» (Cass. n. 4175/2001).
Non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, né quello in cui sono opposti gli spigoli a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l’altro. Poiché lo scopo del limite imposto dall’art. 873 c.c. è quello di impedire intercapedini nocive, «la norma non trova applicazione quando i fabbricati non si fronteggiano, ma sono disposti ad angolo retto in modo da non avere parti tra loro contrapposte» (Cass. n. 4639/1997). Le distanze fra edifici non si misurano perciò in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare (Cass. n. 9649/2016).
Con riferimento all’analoga materia di “pareti fronti stanti” vigente in materia antisismica «la giurisprudenza di questa corte ha avuto modo di affermare che la disposizione contenuta nella L. n. 1684 del 1962, art. 6, n. 4 – a norma della quale l’area posta tra edifici e sottratta al pubblico transito deve avere la larghezza minima di sei metri misurata tra i muri frontali – attiene a tutte le ipotesi in cui i muri perimetrali di costruzioni finitime si trovino in posizione antagonista, idonea a provocare, in caso di crollo di uno degli edifici, danni a quello finitimo: pertanto la presenza nei detti muri perimetrali di spigoli o angoli non esula dalla sfera di applicazione della detta norma, in quanto ogni angolo o spigolo è formato da due linee che, sul piano costruttivo, costituiscono vere e proprie “fronti”, le quali, a loro volta, realizzano rispetto all’opposta costruzione, quella posizione antagonista la cui potenzialità viene eliminata o attenuata dal rispetto della distanza minima. Ha, però, soggiunto che tale principio trova applicazione nel caso in cui le due rette che si dipartano dall’angolo secondo le direttrici dei lati di questo vadano ad intersecare il perimetro della costruzione che si vuole opposta, mentre, qualora tali linee non attraversino idealmente il corpo dell’edificio vicino, non v’è antagonismo tra le costruzioni, né sussiste quella frontalità che la norma in oggetto prevede come presupposto dell’osservanza della distanza di sei metri a scopo di prevenzione antisismica tra i segmenti perimetrali degli edifici» (Cass. n. 14606/2007).
È stato anche chiarito che «l’art. 9, n. 2, del d.m. n. 1444 del 1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875, comma 2, c.c., qualora ne ricorrano i presupposti» (Cass. n. 4848/2019; n. 3340/2002).
7. La corte d’appello non si è attenuta a tali principi.
Il principio affermato dal Consiglio di Stato (sent. n. 7731/2010), utilizzato dalla corte d’appello quale criterio guida nella valutazione della fattispecie, vuole dire che la distanza deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quelle principali e prescindendo dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela.
Ma tale principio, così come gli analoghi principi della giurisprudenza di legittimità, implica pur sempre che «sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento» (Cass. n.4715/2001).
Al contrario la corte di merito, dopo avere descritto la posizione dei fabbricati, ha ravvisato la violazione della norma senza verificare se, in dipendenza della edificazione F.s.r.l. in aderenza fino al colmo del muro cieco del preesistente edificio destinato a laboratorio, vi fosse una effettiva e attuale posizione di frontalità fra due facciate, nel senso che facendo avanzare idealmente in linea retta una facciata verso il fabbricato vicino, le due facciate si sarebbero incontrate almeno in un punto (Cass. n. 2548/1972; n. 3480/1972; n. 9649/2016).
Si ribadisce che la corte di merito non ha ravvisato la violazione nel fatto in sé dell’avere la F. s.r.l. costruito in aderenza sul muro cieco preesistente, ma nel minore arretramento dell’edificio una volta raggiunto il colmo del tetto; tanto ha fatto non in applicazione dei principi della prevenzione integrati con le previsioni di cui all’art. 9 del d. min. 2 aprile 1969 (Cass. n. 3340/2002 cit.), ma avuto riguardo alla situazione attuale dei fabbricati, così come delineatasi per effetto della edificazione in aderenza.
In questo senso, però, è stata completamente omessa dalla corte d’appello la verifica di un’attuale situazione di frontalità fra le due facciate, costituente l’essenziale «presupposto per l’operatività dell’art. 9 del d. min. 2 aprile 1968, n. 1444» (Cass. n. 4715/2001, cit.).
8. L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale comporta l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto fondato sulle stesse ragioni, e l’assorbimento degli altri motivi.
Si impone in relazione ai motivi accolti la cassazione della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà a nuovo esame della causa e liquiderà le spese del presente giudizio.
dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale;
accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano anche per le spese.