Se il regolamento di condominio impone il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per le opere compiute dai singoli condòmini che possano modificare le parti comuni, pur riconoscendosi all’assemblea la facoltà di convalidare ex post tali eventuali attività, resta salvo l’interesse processuale di ciascun condomino ad agire in giudizio per contestare l’uso fatto della cosa comune ed il potere dell’assemblea di consentirlo, dove esso risulti lesivo del decoro architettonico, non dando ciò luogo ad un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle valutazioni del merito o sulla discrezionalità dell’assemblea.
È il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 29924 del 18 novembre 2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VI civ., ord. 18.11.2019,
n. 29924
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R.S. ha proposto ricorso articolato in due motivi (1°: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; 2°: violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c.) avverso la sentenza n. 1958/2018 del 18 aprile 2018 resa dalla Corte d’Appello di Milano.
Resiste con controricorso il Condominio ….
La causa ebbe inizio con domanda del 25 luglio 2014 con cui il condomino R.S. impugnò la deliberazione assembleare 25 giugno 2014 del Condominio …, per violazione dell’art. 67 disp. att. c.c., difetto di quorum e contrarietà all’art. 1102 c.c..
Il Tribunale di Milano respinse l’impugnazione con sentenza del 5 maggio 2016. La Corte d’Appello ha poi rigettato il gravame del R.S., osservando, per quanto qui rilevi, come non sussistesse alcuna illegittimità delle autorizzazioni, in via di ratifica, concesse dall’assemblea ai condòmini L. e Z. rispetto alle installazioni di moto condensanti e caldaie, seppur realizzate in violazione dell’art. 2 del regolamento, in forza del quale “il condomino, prima di apportare alle cose comuni le modificazioni di cui all’art. 1102 del c.c., deve darne comunicazione scritta all’amministratore o in sua assenza agli altri condòmini attendendo il relativo benestare”. Ad avviso della Corte d’Appello, l’autorizzazione concessa dall’assemblea del 25 giugno 2014, benché “indubbiamente tardiva”, rientrava comunque nell’ambito delle decisioni di opportunità o convenienza dei condòmini non sindacabili dall’autorità giudiziaria.
Il primo motivo di ricorso compie un excursus sulla vicenda sostanziale, che ebbe inizio nel 2009, allorché la condomina Z. installò il suo boiler sulla parete esterna dell’edificio di via …. Questo primo “illecito” fu oggetto di un giudizio iniziato nel 2011 e definito nel 2014. Nel 2013 c’è poi stata l’installazione della caldaia sulla facciata del palazzo da parte del condomino L..
L’assemblea del 25 giugno 2014 ha inteso arbitrariamente sanare queste illegittimità, in spregio alla necessità di autorizzazione preventiva stabilita dall’art. 2 del regolamento condominiale.
Il secondo motivo di ricorso, in forza sempre dell’art. 2 del regolamento, lamenta la violazione degli artt. 1102 e 1120 c.c., avendo la Corte d’Appello consentito di sottrarre a sanzione qualsiasi illegalità condominiale, pur integrante gli estremi oggettivi del delitto di danneggiamento, per il sol fatto del rilascio a posteriori dell’autorizzazione assembleare.
(omissis)
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, e si rivelano fondati nei limiti che si specificheranno in motivazione.
Il primo motivo di ricorso prospetta un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, che non appare più configurabile nel nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134.
Esso, peraltro, rimane privo di idoneo sostegno giuridico nella parte in cui espone che, richiedendo il regolamento di condominio una autorizzazione preventiva per le modifiche delle parti comuni, perciò solo sarebbe invalida la delibera assembleare che intervenga soltanto dopo che l’opera sia stata realizzata.
Invero, l’interpretazione consolidata di questa Corte – proprio con riguardo a disposizioni che, come l’art. 2 del regolamento del Condominio di via …, impongano il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condòmini che possa modificare le parti comuni dell’edificio – riconosce all’autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condòmini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Inoltre, il regolamento può validamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 c.c. e supposta dal medesimo art. 1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica ed all’aspetto generale dell’edificio; ovvero richiedere, per le modifiche incidenti sulle facciate dell’edificio, il benestare scritto del progettista del fabbricato, o di altro tecnico da nominare, mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, che pone nell’interesse comune una peculiare modalità di definizione dell’indice del decoro architettonico. Ne consegue che i singoli condòmini non possono sottrarsi all’obbligo, di carattere negoziale, derivante dalle disposizioni del regolamento che impongono di richiedere la preventiva autorizzazione degli organi amministrativi del condominio per eseguire qualsiasi lavoro sulle cose comuni o sulle parti esclusive (omissis). Il regolamento di condominio può, del resto, validamente derogare alle disposizioni dell’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 09/11/1998, n. 11268).
Ora, è vero che all’assemblea debba essere data facoltà, nell’esercizio dei suoi poteri di gestione, altresì di ratificare o convalidare ex post le attività che siano state compiute dall’amministratore o dai singoli condòmini in difetto nella necessaria preventiva autorizzazione. Tuttavia, l’elaborazione della giurisprudenza, cui non si è uniformata la Corte d’Appello di Milano (affermando l’insindacabilità in sede giudiziaria della autorizzazione “in ratifica” concessa dall’assemblea del 25 giugno 2014, non ravvisandosi un’ipotesi di “eccesso di potere” ed esulando dai poteri del giudice un controllo “di opportunità o convenienza” sulla delibera), ha altresì spiegato come le modificazioni apportate da uno dei condòmini, nella specie alle parti comuni, in assenza della preventiva autorizzazione prevista dal regolamento di condominio, connotano potenzialmente tali opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico dell’edificio e configurano l’interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della cosa comune.
Né tale interesse può poi ritenersi ex se escluso dall’ammissibilità di una postuma convalida da parte dell’assemblea (così Cass. Sez. 2, 09/06/1988, n. 3927), dovendo perciò riconoscersi ai condòmini assenti o dissenzienti la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare di “autorizzazione successiva” alla modifica ove essa risulti comunque lesiva del decoro architettonico dell’edificio, non dando ciò luogo ad un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle valutazioni del merito o sulla discrezionalità di cui dispone l’assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condòmini.
Nel caso di esecuzione di opere e lavori lesivi del decoro dell’edificio condominiale o di parte di esso, ciascun condomino ha, infatti, il diritto di chiedere ed ottenere la demolizione delle opere illegittimamente eseguite, esulando comunque dai poteri istituzionali dell’assemblea dei condòmini – né potendo attribuirla il regolamento condominiale, alla stregua dell’art. 1138, comma 4, c.c. – la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dello edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 15/01/1986, n. 175). Il decoro architettonico, che caratterizzi la fisionomia dell’edificio condominiale, è un bene comune, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare (Cass. Sez. 2, 04/04/2008, n. 8830). E, se è effettivamente consolidata l’interpretazione secondo cui il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea dei condòmini, è anche certo che la verifica di legittimità postulata dall’art. 1137 c.c. non esclude la necessità di un accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, allorquando tale accertamento costituisca il presupposto indefettibile per controllare la rispondenza della delibera alla legge (arg. Da Cass. Sez. 2, 07/07/1987, n. 5905).
Alla stregua dell’orientamento richiamato, va pertanto enunciato il seguente principio:
“Allorché una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, imponga il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che possa modificare le parti comuni dell’edificio, pur dovendosi riconoscere all’assemblea stessa, nell’esercizio dei suoi poteri di gestione, la facoltà di ratificare o convalidare ex post le attività che siano state compiute da alcuno dei partecipanti in difetto nella necessaria preventiva autorizzazione, resta salvo l’interesse processuale di ciascun condomino ad agire in giudizio per contestare il determinato uso fatto della cosa comune ed il potere dell’assemblea di consentirlo, ove esso risulti comunque lesivo del decoro architettonico del fabbricato, non dando ciò luogo ad un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle valutazioni del merito o sulla discrezionalità di cui dispone l’assemblea”.
Deve dunque accogliersi il ricorso, nei limiti indicati in motivazione, e la sentenza impugnata va perciò cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, che riesaminerà la causa uniformandosi all’enunciato principio e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, anche per le spese del giudizio di cassazione.