L’amministratore di più condomini che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomini su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento.
È l’importante principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 50850/2019, di cui riportiamo un estratto.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. VII pen., ord. n. 50850/2019
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La Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 24/10/2018, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Milano, in data 13/11/2017, nei confronti di C.G. in relazione al reato di cui all’ art. 646 cod. pen..
Propone ricorso la difesa dell’imputato (amministratore di alcuni condomini condannato per i delitti di appropriazione indebita di somme di pertinenza delle amministrazioni, utilizzate per altri fini) deducendo con il primo motivo la violazione di legge, in riferimento agli artt. 10 e 12 d. lgs. 36/2018; la sentenza aveva rigettato la richiesta da rivolgere alle persone offese circa la volontà di sporgere querela, dichiarando che erano già presenti le querele delle amministrazioni dei condomini, mentre gli atti acquisiti non possedevano le caratteristiche della querela; con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per l’appropriazione contestata, fondata su un riconoscimento di debito consegnato al nuovo amministratore, che avrebbe potuto trovare origine non in condotte appropriative, ma in altre causali (quali la morosità dei condòmini o l’esecuzione di spese non autorizzate); era manifestamente illogica l’affermazione della sentenza secondo la quale tale circostanza esonerava dall’accertamento delle modalità con cui l’imputato disponeva della cassa dell’amministrazione condominiale; con il terzo motivo si deduce la violazione di legge, in riferimento all’art. 646 cod. pen., con particolare riguardo alla dimostrazione del dolo; le operazioni eseguite con somme prelevate dalla cassa, destinate o al pagamento in favore dell’imputato, o di sue società, o ancora verso creditori di altri condomini, non erano dimostrative della volontà di appropriarsi delle somme condominiali, trattandosi di prassi invalsa tra gli amministratori.
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato, oltre che generico per alcuni motivi.
Del tutto insussistente la violazione di legge denunciata con il primo motivo, poiché la sentenza della Corte d’appello ha indicato in modo chiaro l’esistenza in atti delle querele sporte dalle amministrazioni dei condomini, atti che possiedono le caratteristiche proprie dell’atto di querela (come si apprezza dall’intestazione degli atti e dalle richieste delle parti querelanti, come trascritte nello stesso ricorso).
Il secondo motivo di ricorso è generico, nella misura in cui non considera l’intero apparato della motivazione della sentenza impugnata che aveva fondato il giudizio di responsabilità non solo sul riconoscimento di debito consegnato al nuovo amministratore, ma sulle ammissioni dello stesso imputato, sul documento sottoscritto dall’imputato e consegnato in assemblea, con il quale il ricorrente si impegnava alla restituzione delle somme sottratte, e sulla querela di uno dei condòmini, sicché la censura rivolta ad uno solo degli elementi di prova considerati non risulta decisiva nel porre in discussione l’intera motivazione della decisione.
Infine, quanto al terzo motivo, lo stesso è manifestamente infondato poiché «l’amministratore di più condomini che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condomini su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell’amministratore o ad esigenze dei condomini amministrati, in quanto tale condotta comporta di per sé la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento» (Sez. 2, n. 57383 del 17/10/2018).
All’ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.